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sabato 15 dicembre 2012

L'America che non smette di piangere (2)

Negli ultimi sei mesi la lista delle vittime della Carneficina si è allungata, uccise a colpi di armi da guerra da folli scatenati, mentre guardavano un film d'azione o coloravano un album con i pennarelli. Sono circa quaranta, e in questo computo approssimato per difetto rientrano soltanto le vittime della strage di luglio in Colorado e quella di ieri in Connecticut, che appartengono di diritto alla categoria di quelle che balzano in testa alle classifiche pluriennali del numero di vittime, attirano orde di inviati speciali, trovano posto nei titoli di testa per almeno una settimana, e generano un dolente e nobile momento di cordoglio nazionale nonché ipocriti discorsi pubblici intrisi di commozione. Le altre incursioni col fucile mitragliatore il cui numero di vittime è inferiore a cinque si susseguono stancamente a ritmo quasi settimanale nei diversi angoli del paese, senza che nessuno trovi il tempo di curarsene. Per chi crede in una società in cui l'unica a prevalere è la legge del più forte, sono un congruo prezzo da pagare da parte di chi non ha pensato di andare a fare la spesa con la pistola per difendersi da eventuali attacchi. E c'è anche chi sostiene che per evitare le vittime nelle aule scolastiche basterebbe permettere a professori e bidelli di difendersi andandoci armati. Ma quel che lascia più colpiti è la colpevole inerzia della classe politica cosiddetta responsabile, che di fronte al libero approvvigionarsi in armi degli americani, compresi i pazzi conclamati e gli squilibrati mentali, non trova di meglio che lasciar correre, in omaggio a principi sedicenti liberali, per poi commuoversi in diretta televisiva davanti alle vittime di questa insensatezza. Questa volta non ho avuto cuore di seguire il Giornalista, inevitabilmente inviato sui luoghi del crimine, ad appena 100 chilometri da New York. Non ce l'avrei fatta a far finta di svolgere un mestiere non mio, a seguirlo nell'ingrato compito di raccogliere testimonianze di chi c'era, di chi ha magari sentito risuonare i colpi nei corridoi della scuola, e ha capito, e ha cercato di proteggere i bambini inermi, e di nasconderli a quella follia inspiegabile a noi -figuriamoci a loro. Quei poveri 700 spaventati bambini tra i 5 e i 10 anni; 20 dei quali, di prima elementare, sono stati ammazzati uno a uno.
Quindi ho acceso la TV, e ho ascoltato le parole del Presidente. Visibilmente commosso, anzi quasi in lacrime, non articolava bene mentre leggeva degli appunti da un foglio (per una volta non da un gobbo elettronico). Come già in passato, diceva di parlare da padre, non da Presidente. E ad uso di chi ancora osa sperare che all'efficace oratoria funebre possa un giorno seguire anche qualche presidenziale azione politica, ha detto le seguenti venti parole: "Occorre che ci uniamo tutti, indipendentemente da valutazioni di parte, per portare avanti  delle azioni significative e prevenire tragedie simili a questa". Freni il suo impeto e stia attento a non sbilanciarsi troppo, signor Presidente. La questione è della massima delicatezza.

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