Cerca nel blog

mercoledì 31 ottobre 2012

Happy Halloween tra le rovine


L'uragano del secolo ci ha appena voltato le spalle lasciandosi dietro distruzione e disservizi; il sud di Manhattan è privo di elettricità e di acqua nei piani alti, i semafori sono spenti e i negozi chiusi; i pochi ristoranti aperti vanno avanti a lume di candela. In tutta la città la metro non funziona, gli aeroporti riapriranno a singhiozzo tra oggi e domani, i tunnel sono ancora allagati e i pendolari si incolonnano in lunghe file di macchie per raggiungere Manhattan attraverso i ponti appena riaperti. Mentre buona parte di Manhattan vive in una situazione  di apocalisse post atomica, nei quartieri alti si fa come se nulla fosse. Halloween, che i nostri vicini preparano con dedizione da parecchie settimane, procede senza perdere un colpo. Le nostre speranze che il vento a 150 all'ora spazzasse via per sempre le funeree decorazioni che da settimane ornano le abitazioni sono andate deluse. Chilometri interi di ragnatele di garza e cotone idrofilo sono state ripristinate con efficienza ed encomiabile abnegazione sulle ringhiere  e gli ingressi delle case. Ed eserciti di scheletri, vampiri e signore della morte, streghe e zombie sono tornati ad aggrapparsi alle finestre e alle balaustre. La festa di Halloween del quartiere, a cui siamo stati gentilmente invitati ("Fate strillare con Halloween la vostra casa") è cominciata da poco. Eserciti di bambini vestiti da fantasmi hanno invaso la strada e ci cingono d'assedio. Asserragliati in casa sperando che non ci vengano a cercare, vi bisbigliamo un sommesso "Happy Halloween" tra le rovine.

martedì 30 ottobre 2012

Passata è la tempesta...


 ...odo augelli far festa, e la gallina,
tornata in su la via,
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
rompe là da ponente, alla montagna;
sgombrasi la campagna,
e chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
risorge il romorio
torna il lavoro usato.
(...)
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
per li poggi e le ville. Apre i balconi,
apre terrazzi e logge la famiglia:
e, dalla via corrente, odi lontano
tintinnio di sonagli; il carro stride
del passegger che il suo cammin ripiglia (..)





Galline non se ne vedono, da queste parti, ma di certo il cor dei newyorchesi si rallegra. Muniti di giacche a vento leggere e di stivali di gomma d'ordinanza che conservano nell'armadio in caso di giornate di pioggia o di catastrofi naturali, si spingono con circospezione nel lungofiume per verificare l'entità dei danni. Nel nostro quartiere l'Hudson, che ha invaso durante la notte la passeggiata e le piste ciclabili, si è ritirato lasciandosi alle spalle una scivolosa fanghiglia. La gente fotografa gli alberi spezzati, i pontili del porticciolo turistico squassati, il livello del fiume ancora minaccioso. La pioggia riprende a tratti, ma il peggio è passato. Regna una calma ireale: il traffico è ridotto al minimo, la metropolitana chiusa fino a nuovo ordine, i negozi, i cinema, e persino il Lincoln Center chiusi per uragano. Qualche supermercato ha ricominciato a approvigiornarsi, i pochi ristoranti aperti gestiscono un afflusso fuori dal comune. A sud di Manhattan è andata peggio: l'East River si è alzato di 3 metri, invadendo cantine, negozi e pianterreni; la luce è andata via ieri sera alle 8 e nei piani alti manca ancora l'acqua. Una situazione che potrebbe protrarsi per giorni. Stanotte ospitiamo due amici profughi di Downtown: reduci da una nottata agitata, sognano di potersi fare una doccia. 

Anche la nostra nottata di bufera non è stata facile: abbiamo finito presto l'unica bottiglia di champagne e abbiamo dovuto ripiegare sul Pinot Noir. Ci ha fatto compagnia un'allegra famiglia di italo-brussellesi che hanno attraversato l'oceano per condividere con noi questo momento difficile. 
 Un grazie comunque a tutti quelli che ci hanno scritto e pensato: avrebbe potuto andarci molto peggio:

lunedì 29 ottobre 2012

Cronache dalla tempesta

Alzatomi non proprio di buon mattino, ho appreso dai giornali on line che il panico si è impadronito di New York: la città è isolata a causa dell'uragano Sandy che si profila minaccioso, i negozi presi d'assalto da cittadini che si preparano a una lunga notte da assediati. Dato una sguardo fuori dalla finestra, ho scoperto che il tempo alla vigilia di un uragano non è dissimile da quello di una normale giornata brussellese. Cielo grigio, pioggerellina sottile, e folate di vento che rovesciano gli ombrelli. Munitomi di quanto necessario per sfidare gli elementi, ho deciso di dare un'occhiata in giro nel quartiere, con il segreto intento di smentire i proclami apocalittici dei mezzi di informazione e tranquillizzare gli amici e parenti che preoccupati dalla situazione chiedono notizie (grazie a tutti, a proposito). Dopotutto, l'Upper West Side è un quartiere 'alto' non solo per reddito medio dei suoi abitanti ma anche perché il fiume scorre in basso, lontano dalle case e non dovrebbe destare preoccupazioni. All'angolo di Broadway mi sorge tuttavia il sospetto che la folla nel Drugstore la pensi diversamente; vi regna l'atmosfera febbrile ma seria e concentrata di chi si mobilita con criteri militari, probabilmente appresi sui banchi di scuola, per garantirsi la sopravvivenza: chi compra cartoni d'acqua, chi pacchi di patatine da due chili. L'assalto dei cittadini preoccupati al supermercato affianco ha dato risultati ancora più spettacolari; a titolo di esempio, eccovi il banco della carne, solitamente ricolmo:

La mia passeggiata quotidiana aveva semplici intenti esplorativi. Ancora a stomaco vuoto e bisognoso tutt'al più di un cornetto, non mi sfiorava nemmeno l'idea di acquistare un chilo di girello e due braciole  di maiale. Ma certo, la consapevolezza di non poterlo fare anche volendo mi ha comunicato un certo senso di inquietudine. Fortuna che tornato a casa e aperta la posta elettronica ho trovato questo messaggio di Barack Obama* :
Riccardo, 
This is a serious storm, but we are going to do what it takes to keep people safe and secure, and make sure the communities affected get the assistance they need. 
(...) Michelle and I are keeping everyone in the affected areas in our thoughts and prayers. Be safe. 
 Barack
Il Presidente veglia su noi (e sulle sue chance di rielezione). È sempre meglio che ricevere un messaggio di Bertolaso, ne converrete. E quando stasera, barricati in casa a mangiar patatine (spero di trovarne ancora un pacco al Drugstore qui sotto), mentre la tempesta si accanirà contro le nostre finestre cercando di ghermirci, il pensiero che Barack e -soprattutto- Michelle ci pensino e preghino per noi ci scalderà il cuore.

*PS. Barack, ma anche Michelle e Joe (il Vicepresidente Biden) mi scrivono di frequente. Conoscono il mio nome (oltre probabilmente ai miei gusti alimentari e sessuali) e mi danno utili consigli, di norma su come finanziare la loro campagna elettorale, agitando in caso contrario lo spettro di una possibile vittoria del più ricco candidato repubblicano. Dopo la campagna forse mi penseranno meno spesso. Sarà dura non ricevere più loro notizie. 

lunedì 22 ottobre 2012

Il terzo (e ultimo) dibattito in TV: loro e la politica estera


"No, il dibattito no!", non possiamo più esimerci dall'esclamare parafrasando un celebre film, a costo di apparire poco rispettosi dell'affascinante processo democratico che ci sfila sotto gli occhi.

Sarà che come avrete capito dal post precedente l'attenzione delI'Imbucato questa volta si è soffermata più sulla Florida che sulla campagna elettorale. Sarà che dopo i due incontri precedenti i Candidati, che visibilmente si apprezzano poco personalmente, hanno preso le misure l'uno dell'altro, ripetono instancabilmente le medesime formule e non si fanno più prendere in contropiede come era capitato a Obama la prima volta. Sarà infine che in quest'ultimo appuntamento, dedicato alla politica estera, il Presidente in carica e comandante in capo delle Forze Armate godeva di un tale vantaggio sul suo antagonista, imprenditore e manager a digiuno di diplomazia, da far prevedere in anticipo quale ne sarebbe stato il risultato. E infatti, il solito sondaggio a caldo (ma 'scientifico', ci ripetono, della CNN) ha assegnato una vittoria netta a Obama.  Che è apparso deciso e credibile nel difendere una politica estera talora criticata per timidezza o troppa discrezione, ma che non ha dato luogo ad nessuna vera crisi e che ha annoverato tra i suoi successi niente meno che la cattura di Ben Laden e la fine di due lunghe guerre incomprensibili agli americani.  Romney è sembrato arrendersi di fronte a tanta fredda competenza, rinunciando ad attaccare (persino sugli eventi di Bengasi, a malapena evocati), dando ragione al Presidente su quasi tutti i temi, e tutt'al più proponendo timidamente qualche strategia alternativa dalle sfumature non sempre chiare. Al solito, è apparso più convincente quando, con vari pretesti (il ruolo dell'America nel mondo, o i rapporti con la Cina) è riuscito a spostare il discorso sulla situazione economica, accusando il Presidente dei peggiori mali con i consueti argomenti. Complessivamente è stata una buona serata per Obama e parecchio meno felice per Romney, ma è dubbio che il risultato di questo dibattito possa spostare voti.  Quale elettore americano avrà cambiato cavallo stasera, convinto dalla maggiore efficacia delle posizioni sul Pakistan di un contendente rispetto all'altro (posizioni che erano peraltro virtualmente indistinguibili)?

Ultima annotazione a piè di pagina: il processo di pace in Medio Oriente ha brillato per l'assenza cui l'hanno condannato le dinamiche interne americane da più di un anno a questa parte. Benjamin Netanyahu è stato invece tra i più citati: per rintuzzare le prevedibili critiche di Romney che il Primo Ministro israeliano non goda di sufficiente udienza alla Casa Bianca, Obama ha esaltato la salda alleanza con Israele, che ha citato in più occasioni. Per i Palestinesi, eclissati anche dalla primavera araba, sarà per la prossima volta.

PS: per chi si è perso il dibattito, eccovi un concentrato in pillole e musica, un prodotto eccellente per forma e contenuto dei Gregory Brothers (per il New York Times)

Il dibattito, un pretesto per rivedere la Florida

Highland Beach, Florida, Ottobre 2012. Fanciulli al bagno
L'Imbucato è di ritorno in Florida, dove si svolge il terzo e ultimo dei dibattiti televisivi tra Barack Obama e Mitt Romney; tra quindici giorni si vota, e il cerchio si chiude. In questo Stato esteso, rilevante per numero di delegati, dalle tendenze politiche mutevoli (anche per la presenza di un 14%, in crescita costante, di elettori ispanici), e dunque perennemente conteso, eravamo venuti durante le primarie del partito repubblicano in febbraio -che Romney aveva vinto affermando per la prima volta la sua tutt'altro che incontrastata supremazia- e per la Convention di Tampa in agosto che gli aveva regalato l'agognata nomination. Alla vigilia del dibattito di oggi, che verterà sui temi a lui poco congeniali della politica estera, in Florida Romney sembra non solo aver recuperato lo svantaggio che lo separava da Obama nelle intenzioni di voto, ma anche avere accumulato qualche punto di vantaggio. Nel prossimo post scoprirete come è andato il dibattito.
Sainte Augustine
Per il momento, percorrendo con l'auto a noleggio l'autostrada che dall'aeroporto porta verso nord, l'Imbucato ha ritrovato l'interminabile conurbazione residenzial/balneare che da Miami attraverso Fort Lauderdale, Boca Raton, Palm Beach, Dayton Beach e via elencando si estende per centinaia di miglia lungo l'Atlantico, in un susseguirsi ininterrotto di condomini di lusso fittizio, ville di ostentato e inclassificabile esotismo, centri commerciali monumentali e alberghi di cemento armato sulla spiaggia costruiti in tempi migliori. Se il turismo d'élite in Florida è un fenomeno che risale alla fine dell'ottocento, di cui sono ancora testimoni i prodigiosi alberghi in stile eclettico di Sainte Augustine, dove l'imprenditore visionario Henry Flagler fece arrivare la ferrovia da New York, quello di massa è esploso negli anni '70,  con la scoperta di Orlando, che la Walt Disney ha trasformato in una rutilante Las Vegas per bambini, e con lo sviluppo immobiliare dei decenni successivi. La Florida, grazie a un clima tropicale caldo-umido tutto l'anno, è un paradiso delle vacanze  casereccio per le orde di studenti squattrinati che vi si riversano durante le vacanze di primavera e gli innumerevoli pensionati che vi hanno trovato casa o temporanea destinazione turistica. Colonia spagnola sino al 1821, paludosa, sonnolenta e priva di risorse, la Florida non è mai stata ricca: all'inizio del Novecento non doveva distinguersi molto dai vicini caraibici. Con il declino delle attività agricole tradizionali, ha trovato innegabile prosperità grazie al turismo e al mattone, anche se risente oggi della crisi economica e immobiliare più di altri Stati.
Segretario del supermercato
 nella riserva dell'Everglades

A questa terra piatta, assolata, punteggiata di enormi autostrade un po' scassate e di sedicenti aeroporti internazionali, frequentata da gente non sempre distinta, preda di temporali e uragani e attorniata da mari in parte tropicali l'Imbucato ha finito per affezionarsi. O almeno, per apprezzarne alcuni luoghi. Di Sainte Augustine, graziosa cittadina che vanta vestigia coloniali spagnole e inattese architetture di fine ottocento, si è detto. Miami, poi: metropoli latina talmente becera da considerare un'attrazione turistica la villa pacchiana che Gianni Versace vi si fece restaurare sul lungomare e davanti alla quale trovò la morte, ma che conserva un patrimonio architettonico art déco probabilmente unico al mondo. O gli estesissimi aranceti e le antiquate industrie di trasformazione dell'entroterra: una piacevole e rilassante valvola di sfogo dalle fatiche balneari. Ma soprattutto, il parco dell'Everglades, che si estende a ovest di Miami verso nord per una porzione considerevole del territorio dello Stato e che figura tra le tre più importanti zone umide a livello mondiale. Detto così suona forse banale, ma all'Imbucato, a cui è capitato a causa di un GPS dispettoso di ritrovarsi in pieno parco in una strada bianca costeggiata di canneti in cui i copertoni di automobile disseminati dappertutto si sono rivelati alligatori momentaneamente appisolati a pochi metri di distanza, un po' meno. La Florida ha molto da offrire e ci piace riscoprirla (ci dicono molto bene di Key West, per esempio...). Peccato che la campagna elettorale sia quasi finita. Bisognerà trovare altri pretesti...
Art Déco



A un passo dal pericolo


martedì 16 ottobre 2012

Il secondo dibattito Obama/Romney e l'autunno a Montreal

Lo saprete già: Barack Obama stasera si è svegliato dal tetro torpore che l'aveva attanagliato durante il primo dibattito televisivo e ha tirato fuori la grinta che i suoi sostenitori reclamavano: ha risposto con vigore agli attacchi, ne ha formulato di propri ed è riuscito, a detta dei primi sondaggi, ad aggiudicarsi abbastanza nettamente il dibattito di stasera contro Romney, che si è svolto alle porte di New York. 

L'Imbucato l'ha seguito dalla camera della sua pensione in stile etno-bucolico nel centro storico di Montreal, rispettosa di vetuste tradizioni alberghiere che credevamo estinte, quali il minuscolo televisore a tubo catodico sospeso nell'angolo alto delle camere. Si vedeva poco, ma miracolosamente c'era la CNN (negli anni 80 l'avevano appena inventata). E malgrado la voglia di celebrare il suo 45mo compleanno nell'atmosfera che dicono festosa della capitale del Québec, l'Imbucato il dibattito non voleva proprio perderselo (mentre persino il mio compagno di viaggio, l'elettrico e entusiasta Antonello, se la dormiva della grossa, stroncato dalla levataccia). Il risultato del dibattito non cambierà forse l'andamento delle elezioni, che mai come ora appare imprevedibile, ma servirà probabilmente ad arginare l'appannamento dell'immagine del Presidente dopo la poco felice esibizione di una settimana fa. Le elezioni sono fra tre settimane, il prossimo - e ultimo- dibattito televisivo, incentrato sulla politica estera, si svolgerà lunedì prossimo in Florida: avremo tempo per riparlarne. 

Per il momento, godetevi le immagini colte dal nostro treno Amtrak denominato "Adirondack", partito stamane alle 8.15 da New York e giunto a Montreal alle 19 in punto dopo aver attraversato l'autunno. Come un film che ci scorreva sotto gli occhi: nuvole cariche che si rincorrevano nel cielo, ruscelli, rapide e rocce affioranti, baite in legno colorato disseminate lungo i corsi d'acqua, anziani pescatori su barchini di legno, e alberi già nudi o coperti di foglie gialle, arancioni, rosso fosforescente, foglie secche che seguivano la scia del treno e si depositavano sui predellini. Scopriremo domani se Montreal è davvero bella; di certo non vediamo l'ora di ritrovare il nostro autunno al ritorno. Ad una media di 50 chilometri all'ora, degustando chardonnay e Cesar's salad con i crostini, dopo aver mostrato i documenti a doganieri in minacciose uniformi di un'altra epoca. Un viaggio nel tempo come solo Amtrak sa offrire, per appena 50 euro.



Elettrico, curioso e entusiasta, il compagno di viaggio ideale:  Antonello si gode  il vagone ristorante della Amtrak

domenica 14 ottobre 2012

Felicitazioni, Unione europea. Malgrado tutto

Da quando alla Prestigiosa Università dell'Upper West Side è ricominciato il semestre ho deciso di seguire alcuni corsi da uditore, tra cui uno sulla storia del Medio Oriente. Due mattine a settimana alle 8.40 mi insinuo nella massa di studenti dei primi anni, mi appiattisco nelle poltroncine in fondo alla grande aula e mi abbevero alle parole del professore, che cavalca attraverso le vicende storiche della regione, stabilendo inediti e illuminanti collegamenti. Il professore è un americano 64enne che ha coltivato le sue origini arabe abitando lunghi anni nella regione, dopo aver ottenuto diplomi e dottorati nelle più prestigiose Università degli Stati Uniti. Oggi, grazie a  una decina di voluminose pubblicazioni e un grande talento didattico, è venerato nella Prestigiosa Università come uno dei più autorevoli luminari della materia. 

L'altro giorno, rispondendo a un suo invito, mi sono avvicinato dopo la lezione, e seguendolo mentre si avviava a un altro appuntamento, mi sono presentato come funzionario dell'Unione europea che, in aspettativa per un anno, risciacquava i panni nel mondo accademico. Al mio blando tentativo di spiegargli a quale delle istituzioni appartenessi ha opposto il prevedibile diniego di chi non si interessa di bassa burocrazia, ed è solo quando gli ho detto che ho lavorato a lungo nelle relazioni esterne, sui negoziati d'adesione e più di recente sul Medio Oriente e il Processo di pace, che si è animato. Per rovesciarmi addosso con la vivace eloquenza che gli è propria il supremo spregio che nutre per l'Unione europea e la sua pavida politica mediorientale, schiava di interessi imperscrutabili e prona a quelli degli Stati Uniti, incapace di incidere e resa ininfluente dalle divisioni intestine. Ha interrotto il fuoco di fila solo davanti alla scalinata in marmo dell'Istituto di storia, che ha imboccato volgendomi le spalle, non prima di avermi frettolosamente stretto la mano. Mi ha lasciato inebetito a ponderare cosa avrei potuto ribattergli se fossi stato meno assonnato, altrettanto padrone della lingua e forse, in fondo, davvero in disaccordo con lui. E ripensando ad altri esempi della scarsa considerazione di cui gode l'Unione europea in questo paese (di cui ho parlato altrove in questo blog) mi sono scoperto a commiserare gli sforzi non sempre proficui dell'Imbucato di ritagliarsi un ruolo di esperto dell'Unione europea in un ambiente accademico così scettico o poco interessato alla questione. 

Ad attenuare l'afflusso di pensieri molesti mi è giunta la notizia che l'Unione europea è stata insignita del Premio Nobel per la Pace. "Per oltre sei decenni, l'Unione ha contribuito al progresso della pace, della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa", ha sancito il Comitato norvegese, secondo cui le successive fasi di espansione ai paesi del nord del Mediterraneo prima,  dell'Europa centrale e orientale poi e infine dei Balcani hanno rafforzato la democrazia, risolto conflitti inter-etnici, rilanciato la riconciliazione tra i popoli. Infine, "La prospettiva dell'adesione ha incentivato i processi di sviluppo democratico e la protezione dei diritti dell'uomo in Turchia". Se sono degno di contumelie per aver contribuito nel mio piccolo ai fallimenti dell'Unione europea, altrettanto immodestamente posso considerarmi in parte fautore dei suoi successi, mi sono detto. E pazienza se l'Europa è incapace per ora di imporre la pace, o non foss'altro una politica coerente al di fuori delle proprie frontiere. E se attualmente si dibatte in una crisi economica senza precedenti. Per non perdere la speranza in noi stessi, occorre tenere a mente da dove veniamo. E il Comitato del Nobel ha il merito di avercelo ricordato. Buona giornata a chi comincia una settimana di lavoro nelle istituzioni europee.
Roma, 25 marzo 1957. Firma dei trattati istitutivi della futura Unione europea

giovedì 11 ottobre 2012

Salvate il Soldato Big Bird (e la campagna del Presidente)


... e con la First lady Pat Nixon (1970)
Big Bird da solo...
Poiché probabilmente anche voi come me siete cresciuti a pane, Nutella e Muppet Show, mi preme darvi una buona ragione morale per augurarvi una vittoria di Obama, malgrado la sua imbarazzante prestazione nel dibattito di mercoledì scorso che gli sta costando parecchi punti nei sondaggi.

Nel vortice di promesse elettorali, quasi mai comprensibili né particolarmente credibili, che i Candidati ci hanno scagliato addosso durante il dibattito, una sola è apparsa chiarissima. E minacciosa e tagliente come una mannaia. Rivolgendosi al moderatore Jim Lehrer Romney ha promesso, se eletto, di tagliare i fondi al network pubblico PBS nel quale il giornalista ha passato un'intera carriera (semi-pensionato riservista quasi ottantenne, Lehrer è stato richiamato per moderare il dibattito, attirandosi peraltro numerose critiche a causa della sua rassegnata, senile, inerzia). "Mi piace PBS", ha spiegato Romney, "ma non è giustificabile chiedere soldi in prestito ai cinesi per finanziarla". Per la verità PBS, network senza pubblicità reso poco appetibile dall'eccesso di documentari,  pensosi dibattiti e studi disadorni, agli americani piace poco, e ha indici d'ascolto trascurabili.  Con una sola eccezione: Big Bird, unica vera e incontrastata vedette della rete, che dal 1969 anima un leggendario programma televisivo mattutino che ha intrattenuto, divertito, e insegnato a leggere e a scrivere a generazioni intere di americani: Sesame Street. Big Bird misura 2 metri e 49 centimetri di altezza,  sa cantare, ballare e andare sui pattini, e vive in un enorme nido sul retro della casa su Sesame Street che divide con la allegra brigata dei Muppets che lo affiancano da sempre nella trasmissione.  Se in Italia Sesame Street ha fatto solo una breve apparizione nel 1971 con il titolo "Sesamo Apriti" (qualcuno di voi si ricorderà la sigla dedicata ai babau che popolavano la trasmissione), i Muppets si presero la rivincita qualche anno più tardi con lo show a loro completamente dedicato, che ha lasciato tracce indelebili nella memoria collettiva.

La minaccia che Big Bird possa lasciarci le penne ha provocato una levata di scudi nel paese, allarmati editoriali sul New York Times e una ferma reazione da parte di PBS, secondo la quale tagliare i fondi al servizio pubblico equivarrebbe a ridurre il deficit federale dello 0,001%; in cambio di appena 1,35 dollari all'anno per cittadino PBS sostiene di produrre programmi di alto valore educativo che, nel caso di Sesame Street,  raggiungono un bacino pari all'81% dei bambini tra i 2 e gli 8 anni. Cercando di sfruttare quello che è sembrato l'unico passo falso di un Romney in serata di grazia -specie di fronte a un Presidente che chinava la testa- i leader di campagna di Obama hanno subito dislocato pupazzoni di Big Bird a rivendicare il diritto all'esistenza durante i meeting elettorali dell'avversario repubblicano. E hanno prodotto un video che critica quest'ultimo per non aver saputo esprimere contro i pescecani di Wall Street la stessa intransigenza dimostrata nei riguardi dei babau di Sesame Street. Nell'augurare buona fortuna a Big Bird, osiamo tuttavia esprimere la speranza che, mentre i sondaggi d'improvviso gli voltano le spalle, Obama abbia per i propri elettori degli argomenti più sostanziosi di un semplice ciuffo di penne gialle.
E per finire in bellezza, eccovi un assaggio di Sesame Street, in cui i muppets eseguono una performance classica: accompagnare con facce e suoni un ospite in carne e ossa. In questo caso si tratta di una godibile esibizione del rapper Will.i.am, che canta "What I am".

Da segnalare che Will.i.am, che nel 2008 contribuì a creare il mito di Obama con il video "Yes we can", è poi sembrato a disagio rispetto alla performance presidenziale del suo idolo, invogliandolo a fare di più con frasi che riecheggiano il 'fai qualcosa di sinistra' a noi più familiare (Do you feel disappointed in President Obama? 
I don’t feel disappointed. I feel like, Argggh! Speak louder! I feel like, Do something! I feel like jumping in! New York Times, gennaio 2011).

mercoledì 3 ottobre 2012

Il Primo dibattito Obama/Romney: Mr. Smiley e l'Ingrugnito


Beati voi che stavate dormendo della grossa.
Mentre a me toccava l'ingrato compito di seguire in diretta il primo dei tre dibattiti televisivi tra Barack Obama e lo sfidante Mitt Romney (i prossimi sono previsti il 16 e il 25 ottobre). Per un'ora e mezza circa i due si sono confrontati con cortesia ma aggressiva determinazione su temi quali: come rilanciare la  crescita economica e ridurre la disoccupazione, come affrontare il deficit di bilancio e riformare la politica fiscale, come migliorare i servizi sociali e sanitari e investire nel sistema educativo. Condendo il tutto con la loro concezione filosofica su quale debba essere il ruolo dello Stato nella società americana. Infaticabili, e per nulla intimoriti dal compito titanico che si trovavano ad affrontare, ci hanno fornito le loro ricette in-pillole-di-due-minuti-con-diritto-di-replica, hanno snocciolato un diluvio di dati e statistiche puntualmente contraddittori rispetto a quelli forniti dall'avversario, hanno scosso la testa, puntualizzato e precisato. Tra attacchi, difese e affondi per mettersi reciprocamente in difficoltà, è mancato il colpo del KO, la battuta che sarà ricordata come decisiva (non ne sono mancati esempi nel passato: date un'occhiata alla godibile compilation del New York Times). Eppure, pochi secondi dopo la chiusura del sipario, mentre i candidati si stringevano la mano e le le rispettive famiglie festanti invadevano il palco, già i commentatori della CNN, ammassati intorno a un tavolo che ricorda quello del Processo del Lunedì, si precipitavano unanimi, parlandosi addosso con quel loro veloce eloquio sincopato che vuole essere professionale, ad attribuire la vittoria ai punti a Mitt Romney. Sembravano stupefatti che il Candidato sbeffeggiato e pasticcione fosse riuscito a tenere testa al Presidente,  rinfacciandogli con una sorta di allegra, martellante sfrontatezza gli insuccessi del suo mandato. Mentre il Presidente, rigido e ingessato, sembrava essere piovuto là controvoglia, piuttosto infastidito di doversi  difendere e sin troppo professorale e prolisso nel farlo. Ha ripreso un po' la mano solo verso la fine, riuscendo a sfoderare alcuni dei suoi celebri larghi sorrisi e mostrandosi talora efficace nel denunciare la vaghezza progettuale dell'avversario. Chi ha le idee chiare e ha seguito la campagna fin dall'inizio non avrà scoperto nulla sul piano dei contenuti: Romney si è dimostrato il solito, incorreggibile businessman ultraliberista prestato alla politica, e Obama il consueto serioso, posato uomo di Stato che mira a difendere lo Stato sociale. E chi si occupa di sondaggi ci ammonisce che di rado i dibattiti riescono a spostare più dell'1% dell'elettorato, e quasi mai a decidere le elezioni. Ma chi dava Romney per morto da stasera si dovrà ricredere. 


Ecco come il New Yorker di questa settimana riassume il dibattito:
Mitt Romney, un giornalista nella fossa del suggeritore e uno scranno vuoto:
quello di Obama. 

martedì 2 ottobre 2012

Film Forum, il mio migliore amico a New York


Questa settimana al Film Forum: Elio Petri, 1970, Oscar per 
il miglior film Straniero. Un thriller politico imbevuto di 
surrealismo grottesco, con un grandissimo Gian Maria Volonté, 
una conturbante Florinda Bolkan, una straordinaria colonna 
sonora di Morricone e un sacco di splendide Alfa Romeo d'epoca!
Film Forum, since 1970

Dorrie e Annamaria, mentre
festeggiano la mia partenza. 
Un anno più tardi, 
ancora festeggiano

È già passato quasi un anno, le foglie sugli alberi cominciano a ingiallire, e la mia tessera annuale del Film Forum, il re dei cineclub newyorchesi, sta per scadere. I colleghi di lavoro, con l'accorta regia di Dorrie, che di America se ne intende, me l'hanno regalata quando sono andato via. E da ottobre scorso, estate e inverno, ho colmato i vuoti delle mie incerte giornate di orfano del lavoro fisso con il programma di film d'essai e grandi classici che il Film Forum seleziona con amore e inevitabile spocchia per le sue migliaia di aficionados. Ho condiviso il piacere con canuti ex-hippy e imberbi studentelli, professoresse lesbiche ostili ai cellulari, e intellettuali dell'East Village immersi nella lettura del New Yorker sino allo spegnersi delle luci. Sì, perché i pochi che al Film Forum vengono accompagnati quasi si scusano: il modo migliore per assaporare un vecchio "Io e Annie", la "Battaglia di Algeri" o un vecchio Truffaut è farlo da soli, in religioso silenzio. Attivo dal 1970, Film Forum, l'unico cineclub davvero indipendente rimasto in città, si sostiene grazie a un piccolo lascito e a donazioni private, fa girare i film dalle tredici all'una nelle tre sale climatizzate (una delle quali dotata di una serie di pilastri a ostruire la visione dello schermo, che da habitué ho ormai imparato ad evitare abilmente) e arrotonda gli incassi con le torte fatte in casa e i pop corn che si possono acquistare nel bar intitolato a Federico Fellini. E poco male che si trovi al confine tra Soho e il Village, all'estremo opposto di Manhattan rispetto a casa; quando l'ora arriva, è un piacere saltare in un vagone argentato della metropolitana, attraversare le viscere della città, ed emergere dopo poco più di venti minuti sotto la pioggia o il solleone ai piedi dell'insegna blu accesa tutto l'anno.
L'altro giorno ho ricevuto dal Film Forum un modulo per il rinnovo della tessera fino a ottobre 2013. L'ho rapidamente compilato, affrancato, impostato. Non so ancora con precisione cosa farò l'anno prossimo, ma se sarò a New York, il Film Forum rimarrà il mio migliore amico in città.

...e i Palestinesi di Bil'in

Vincitore del premio per il miglior
documentario al Sundance Festival 2012
Oltre ai grandi classici del passato, tra i film visti quest'anno si segnalano l'ultima opera del cineasta turco dell'incomunicabilità e un ipnotico film girato clandestinamente nel Sud Africa dell'apartheid. Ma soprattutto "5 Broken Cameras", un documentario di poche pretese e grandi qualità che documenta la lotta non-violenta degli abitanti del paesello palestinese di Bil'in, in Cisgiordania, contro l'espansione delle colonie israeliane che minacciano l'accesso alle loro terre. Girato con cinque videocamere di fortuna, progressivamente rimpiazzate ogni volta che la precedente veniva distrutta nel corso degli scontri con i soldati israeliani, il film ha il merito di presentare gli avvenimenti dall'angolo visuale di un semplice contadino palestinese. L'attenzione dell'autore, inizialmente focalizzata sui primi vagiti del quarto figlio, Gibreel, si sposta rapidamente sui lavori in corso per la costruzione da parte del governo israeliano della barriera di separazione -il cui tracciato sconfina nelle terre che i palestinesi di Bil'in coltivano da sempre- e sulla lotta spontanea dei suoi conpaesani per impedirla. Descrivendo con distaccata passione le piccole storie tragiche e talora divertenti del villaggio e della sua famiglia, trascinati loro malgrado nel Conflitto, l'autore, la cui unica aspirazione, sinora puntualmente inappagata, è quella di offrire un futuro migliore ai suoi figli, riesce a rendere con forza il significato della lotta dei palestinesi per l'affermazione dei propri diritti. Al Film Forum l'autore, Emad Burnat, ha presentato il film con il collega israeliano Guy Davidi, che l'ha coadiuvato nel montaggio e la promozione. Gli spettatori del Film Forum si sono commossi e hanno applaudito a lungo. Se questo film dovesse fare una clandestina apparizione anche dalla vostre parti, cercate di non perdervelo. È di gran lunga più efficace per capire la situazione nei Territori Occupati rispetto agli ideologismi propagandistici e i tatticismi che l'una e l'altra parte declamano dalle tribune dell'ONU, finendo troppo spesso per oscurare in una cortina fumogena di opportunismo la durezza del conflitto che i cittadini palestinesi vivono tutti i giorni sulla loro pelle.