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mercoledì 29 febbraio 2012

Mitt ha vinto in Michigan ma non badategli...


Results
 for Michigan Republican Primary (U.S. Presidential Primary)

Mitt Romney409,89941.1%
Rick Santorum377,52137.9%
Ron Paul115,71211.6%
Newt Gingrich65,0166.5%
Other29,0242.9%

Eccovi Mitt Romney che con gesto plastico e di grande naturalezza celebra la vittoria nel suo Michigan natale. Dopo tanto sudar freddo, Mitt se la cava con 3 miseri punti di scarto su Santorum, un compitino appena sufficiente, che lo allontana sì dal baratro ma non convince riguardo alle sue potenzialità per conquistare il suo partito e poi sconfiggere Obama. Rimaniamo in attesa di sapere che cosa sarà capace di fare nei 10 stati che voteranno martedì prossimo, con già un nuovo psicodramma che si annuncia in Ohio, lo stato più importante, in cui Santorum gli darebbe la polvere secondo i sondaggi attuali. A grande richiesta, l'Imbucato medita di recarsi in questo grande stato industriale del Nord est che ha dato alla luce ben sette Presidenti americani nonché i pneumatici Good Year per seguire da vicino gli avvenimenti. 


... Godetevi piuttosto il clip love and peace di nonnetto Paul


Nel frattempo, espletata la formalità Mitt, permettetemi di segnalarvi questo video elettorale scoperto per caso su Internet in cui nonnetto Ron Paul, il Quarto Incomodo, ci spiega la sua visione anti-imperialista e pacifista.  Una posizione che avrà pure basi conservatrici più che puramente etiche (le campagne belliche all'estero costano troppo e stanno portando l'America alla bancarotta) ma che è una ventata di freschezza in un partito dominato dalla paura dell'Altro e dalla retorica dell'insicurezza. Il video, impeccabile qualitativamente, ben costruito e incalzante, è ricalcato sul testo di un discorso del 2009 in cui Paul  ripudia l'uso della guerra, invita i leader americani a ritirarsi dai territori che occupa, e propugna una politica estera pacifica basata sulla cooperazione e la promozione del commercio internazionale. Una posizione che lo avvicina a quelle di buona parte della sinistra nella 'Venere' Europa, oltre che ai fondamenti della nostra Repubblica (articolo 11 della Costituzione). Non a caso Paul è l'unico tra i repubblicani in corsa ad avere posizioni ragionevoli e non guerrafondaie sull'Iran, il conflitto palestinese e persino su Cuba. Per dar forza alla sua tesi, Paul ricorre alla metafora di un Texas futuribile invaso da una potenza straniera che voglia imporre la democrazia e la sicurezza, alla stregua di quanto fatto dagli americani in Iraq e altrove. Buona visione, e bravo Nonnetto. 



domenica 26 febbraio 2012

A Brooklyn, in compagnia di Riccardo (quello cattivo)



Poiché l'Imbucato è uomo di parola, eccoci a spasso per
 Brooklyn, dove ci aspetta la Brooklyn Academy of Music, BAM,una fucina culturale di antica tradizione che attizza le nostre velleità culturali ogni volta che i vagoni della metro vengono tappezzati con la pubblicità della nuova stagione: un bombardamento di musica, cinema, teatro e balletto di richiamo e qualità che lascia spazio a tutte le tendenze. Il pezzo forte del momento all'Harvey Theatre, un gioiello del primo novecento che la BAM ha restaurato strappandolo all'abbandono con l'obiettivo riuscito di farlo sembrare una tetra ma deliziosa rovina,  è il Riccardo III con Kevin Spacey. Kevin, divo hollywoodiano premiato con due oscar ma alternativo ed enigmatico (perifrasi ricorrente per dire che è probabilmente gay ma che si è limitato per ora a farlo solo subodorare) ci tiene al teatro, ed è da dieci anni direttore artistico del londinese Vic Theatre. Dopo aver accarezzato per molti anni il sogno di interpretare Riccardo, una versione più paludata del già duplice e infido Verbal Kint di 'Usual Suspects', da un anno ha messo su questa produzione e gira il mondo con la corona in testa.  La regia è di Sam Mendes, vecchio compare di Oscar in America's Beauty. Riccardo III è la storia di un aspirante al trono deforme, mediocre e rancoroso ma con le idee chiare, che dopo un primo atto passato a fare il vuoto tra i suoi rivali trucidandoli o circuendoli e a costruire detestabili alleanze politiche di convenienza, riesce a farsi incoronare re d'Inghilterra. Nel secondo atto raccoglierà i frutti dell'odio che ha seminato finendo solo e in preda agli incubi, e perderà vita e potere nella battaglia finale. Sebbene recitata nell'arcaico idioma shakespeariano che all'inglese odierno non somiglia nemmeno nel suono (sarà per pura invidia ma l'Imbucato, che nulla ha capito di quello che si diceva sul palco con qualche rara eccezione, sarebbe pronto a giurare che neanche il pubblico americano presente avesse le idee tanto più chiare), la storia è una potente metafora dell'eterna lotta per il potere e della sua inanità, e conserva forza e attualità, specie alla luce delle innumerevoli teste di tiranni rotolate di recente.  Da grande mattatore, Spacey mette in ombra tutti gli altri comprimari e, accompagnato da una regia semplice ma potente e suggestiva (un assaggio nel clip  un po' cinematografico qui sotto), dà al personaggio delle sfumature sardoniche quasi tenere nel primo atto, per poi precipitarlo nel dramma della solitudine e della paranoia nel secondo. Spacey/Riccardo non si risparmia, finirà la sua parabola coperto di sangue e appeso per i piedi per lunghi minuti, prima di essere pietosamente raccattato e rimesso in piedi, giusto in tempo per raccogliere i nostri applausi. 


Now is the winter of our discontent!











venerdì 24 febbraio 2012

'Big Tuesday' si avvicina: il ritorno dei Quattro Destrorsi



Ci erano mancati, quei quattro.  Per noi, è un po' come ritrovare dei vecchi amici, ed è un piacere salutare il loro ritorno sulla CNN dopo quasi un mese di assenza con un ottimo pollo al forno con funghi trifolati e una bottiglia di Saint Emilion grand cru. L'occasione è importante, poiché pare che i loro tentativi di colarsi a picco reciprocamente in diretta nazionale sferrandosi colpi sotto la cintura non giovino troppo al partito repubblicano e alle sue prospettive di vittoria finale alle presidenziali. Cosicché, il nutrito calendario di dibattiti televisivi a venire è stato drasticamente ridotto. Il ventesimo dibattito, quello di oggi, sarà dunque uno dei loro ultimi appuntamenti fratricidi, e poiché cade in un momento cruciale,  in vista del voto in Arizona e Michigan il 28, e poi in ben 10 stati il 6 marzo per quello che viene chiamato il 'Big Tuesday', val la pena goderselo. Al dibattito Mitt Romney, l'eterno favorito vittima perenne delle sue contraddizioni e della sua imperizia, si presenta ancora una volta in affanno. Dopo aver ridotto in briciole in Florida a suon di spot milionari le velleità del rivale del momento Gingrich in una vittoria che molti pensavano risolutiva,  si è inabissato di nuovo, piegandosi davanti a Santorum in tre stati il 7 febbraio (vedi post la risurrezione del Santorum) e rimediando una vittoria risicata in Maine su nonnetto Ron Paul. Un febbraio catastrofico, a cui hanno certo contribuito le sue uscite poco felici. Fra le altre, Romney ha asserito compiaciuto di non nutrire alcun interesse per le classi meno agiate e si è poi definito 'severamente conservatore' (con l'utilizzo di un avverbio che in inglese ha connotazione negativa e si applica di solito alle malattie gravi), con l'intento di compiacere maldestramente chi conservatore e anzi reazionario tra i suoi elettori lo è veramente. Risultato, quegli stessi elettori lo hanno severamente punito, riaprendo ancora una volta i giochi e proiettando Santorum nel ruolo di campione della destra e avversario competitivo per le presidenziali. Così Romney, che fa fatica a recuperare nei sondaggi persino in Michigan, dove è nato (nientemeno che da padre ex-governatore dello stato) e dove ha vissuto sino all'Università, durante il dibattito si è trovato costretto ad attaccare Santorum a testa bassa, dopo avergli peraltro rovesciato addosso un bel po' di spot elettorali negativi nelle settimane passate (vedi sotto).
Di sicuro, quando si sente affogare ed è opportunamente addestrato, Romney all'attacco non sfigura. Lo ha dimostrato di nuovo stasera contro Santorum, a cui ha rinfacciato di avere a più riprese contraddetto il suo tanto conclamato "conservatorismo fiscale" durante i suoi incarichi parlamentari. L'accusa è di aver votato a favore di progetti e investimenti federali, in ambito sociale o per nuove infrastrutture, che la destra ora aborrisce. Santorum, che nel ruolo di favorito è apparso incongruo e a disagio, ha faticato a giustificare le sue scelte passate, e si è incartato in una serie di spiegazioni tecnico-giuridiche arzigogolate che hanno annoiato anche gli specialisti. Romney sembra dunque essersi aggiudicato il dibattito ai punti, e già trae (temporaneo?) beneficio nei sondaggi. Ad emergere stasera è stato però soprattutto un sostanziale consenso tra i candidati (con l'eccezione di Paul sempre uguale a se stesso, vedi post del 6 febbraio, sul terreno di un liberismo ideologico e a tratti farneticante nell'odio dichiarato per qualunque tipo di spesa pubblica eccetto quella militare; di una politica estera volitiva e miope che non esita a fare l'occhiolino a un possibile attacco contro l'Iran; di un culto cieco dei valori familiari che si spinge sino al rifiuto della contraccezione. Un armamentario ideologico arcaico e oscurantista che sembra radicalizzarsi col procedere della campagna, e che sarà poco utile a convincere indecisi e indipendenti,  cruciali per vincere lo scontro in novembre contro il centrista e duttile Obama.

Per finire, godetevi lo spot col quale Santorum cerca  di difendersi dagli attacchi di Romney dipingendolo come il killer Rombo che spara fango contro gli avversari ma rischia di imbrattarsi la camicia da solo. Il sosia non è bello come l'originale, ma lo spot è riuscito e ha fatto rumore.

mercoledì 22 febbraio 2012

Il picchetto delle ceneri

Anche Biden, primo Vicepresidente
cattolico della storia, non sfugge alla regola
della fronte al nerofumo. 

Per coloro che se lo fossero dimenticato, oggi era il mercoledì delle ceneri che, ho controllato, cade 46 giorni prima di Pasqua. Nell'Europa culla della Cristianità, ahimè, la ricorrenza passa ormai quasi inosservata. Ma nell'America che esprime l'integralista cattolico Rick Santorum  come possibile futuro Presidente per il partito di maggioranza alla Camera, di certo no. E quegli oscuri personaggi -e sono tanti- che si aggirano per strada e provocano inquietudine  con la loro  croce grigia disegnata sulla fronte non fanno parte di una setta satanica ma sono solo uomini e donne timorati che osservano la ricorrenza secondo la tradizione. E che, come impone lo spirito pratico ed efficiente della società nordamericana, non hanno nemmeno bisogno di recarsi in chiesa per farsi imporre le ceneri. Possono farlo tranquillamente per strada presso il più vicino picchetto. Eccone uno, scoperto dall'incredulo Imbucato su Broadway, tra una paninoteca e un negozio di scarpe, composto da un individuo che supponiamo essere un prete se l'abbigliamento non ci inganna e da due devote assistenti agghindate da farmaciste. Il successo è incontestabile.




martedì 21 febbraio 2012

Brooklyn: quello che ci nascondeva la gomma del ponte


Gli italiani Brooklyn la conoscono bene perché la masticano con passione dal 1946, quando i fratelli Perfetti, confettai in Lainate, lanciarono sul mercato un surrogato di sogno americano sotto forma di bastoncini di gomma del ponte.  Provvidero  poi ad ancorare il concetto nel nostro immaginario collettivo con fortunate campagne pubblicitarie; quella con Carla Gravina inviata a New York che si lanciava in elastiche passeggiate tra i grattacieli di Manhattan e poi in una corsa forsennata lungo il ponte è forse la più celebre:

 

Brooklyn Museum
L'ottima Brooklyn Lager
Ma non risulta che Carla si sia mai davvero spinta al di là del ponte, alla scoperta di quell'immenso quartiere che ad esso, nonché alle gomme, ha dato il nome. Milioni di turisti a Brooklyn ci mettono piede, ma solo per meglio ammirare Manhattan, che dalla splendida passeggiata di Brooklyn Heights offre una delle sue più celebri skyline. Eppure, storicamente Brooklyn ha pari dignità con Manhattan: si è sviluppato da un nucleo coloniale olandese, e ha unito le proprie sorti amministrative alla cugina d'oltre-fiume solo alla fine dell'800, dopo la costruzione del ponte. Brooklyn, che da allora è uno dei cinque boroughs che compongono New York, si estende oggi per 183 km2, più di tre volte Manhattan, e conta 2.5 milioni di abitanti, uno più di Manhattan: sarebbe la quarta città americana se fosse autonoma. Brooklyn ha dato a New York molti figli illustri e si è dotata di istituzioni che non a caso rivaleggiano con le consorelle di Manhattan: il Brooklyn Museum e la Brooklyn Academy of Music (BAM), rispettivamente un Metropolitan e un Lincoln Center neanche tanto in miniatura, oltre naturalmente al grande parco urbano Prospect Park, che di Central Park è parente strettissimo e coetaneo, e Coney Island, antenato di tutti i parchi giochi del paese. A unirli, un fiume di quartieri di edifici bassi (Brooklyn dispone di abbastanza spazio da poter aborrire il modello di sviluppo verticale impostosi a Manhattan) dai nomi evocativi e misteriosi.
Alcuni di essi (Park Slope, Williamsburg), sono stati resi celebri dalle recenti transumanze di giovani intellettuali, professionisti e alternativi di vario genere che a Brooklyn hanno pensato di trovare un miglior rapporto costo/qualità della vita, e persino molta della creatività e attivismo che la Manhattan ripulita e imborghesita degli ultimi decenni sembra essere ormai  irrimediabilmente incapace di fornire (a proposito, se avete nostalgia di un'epoca che fu eccovi ancora Carla Gravina alla scoperta di una Washington Square versione beat -sulle orme di Woodstock- che poco assomiglia a quella attuale. Parola di Imbucato). Altri quartieri continuano invece a mantenere una miracolosa prevalenza di solidi legami etnici tra i propri abitanti, da Brighton Beach, in cui la comunità locale pasteggia a vodka e storione nei locali russofoni lungo la spiaggia, a Borough Park, dove ci siamo persi l'altro giorno, unici a non indossare il colbacco foderato di pelliccia degli ebrei ultraortodossi.


Brooklyn con le sue case basse  contrapposte ai grattacieli, la sua massa informe a macchia d'inchiostro contrapposta alla linearità geometrica e minimalista di Manhattan, l'attaccamento alle tradizioni provinciali contrapposto all'imperante uniformità della globalizzazione è una sorta di Manhattan vista con lo specchio deformante, a cui ognuno, a seconda della scuola di appartenenza, attribuisce pregi e difetti. E l'Imbucato, che dalle frontiere invisibili e non è sempre stato affascinato, non mancherà di moltiplicare le incursioni in questa Manhattan allo specchio. Ma per il momento, godetevi un altro bel momento della nostra maturazione all'ombra delle Brooklyn, questa volta in una fase di primi turbamenti sessuali:





lunedì 20 febbraio 2012

Brooklyn: il ponte e chi ci abita

Brooklyn Bridge seen from East River
bikeway, 14 February 2012
Brooklyn Bridge seen from East River
bikeway, 14 February 2012
Spot the difference

domenica 19 febbraio 2012

Upper West Side, 87th Street, 20 February, 2am. Il blogger lavora per voi.

giovedì 16 febbraio 2012

La falena e il Presidente

The Moth, vale a dire la falena, è un fenomeno che ha un crescente successo negli Stati Uniti. In breve, si tratta di sessioni tra spettacolo e psicoanalisi durante le quali dei comuni mortali salgono su un palco e raccontano i fatti loro a un pubblico che ha pagato un biglietto per ascoltarli. Mercoledì scorso, tra le centinaia di newyorchesi accorsi per l'occasione c'eravamo anche noi, inizialmente un po' scettici, sebbene preventivamente indottrinati dalla nostra amica Marylene, che della Falena è un aficionado. Poi si sono spente le luci e davanti a noi  hanno cominciato a sfilare i suddetti comuni mortali.  Soli in piedi sul palco spoglio sotto la luce di un riflettore, la voce appena scossa da un tremito iniziale, in dieci minuti d'orologio ci hanno raccontato la loro storia di vita vissuta. Chi ha parlato della sua infanzia difficile e dell'arrivo contrastato di una sorellina figlia del peccato,  chi evocato danze infantili con una madre amorevole e subito di seguito l'incidente stradale che l'ha strappata alla vita, chi ci ha narrato i suoi tragicomici tentativi di sposare un uomo essendone uno anche lui, chi ci ha raccontato la risalita dagli inferi della droga e del sesso compulsivo. Il tutto con un umorismo e levità che strappavano applausi,  risate e qualche lacrima a chi è predisposto. I tempi del racconto erano perfetti, probabilmente smussati durante lunghe prove con l'aiuto dall'associazione, The Moth appunto, che dal 1997 organizza questo evento in giro per il paese. Lo spettacolo  è un'alchimia miracolosamente riuscita di due elementi connaturati alla società americana che, se opportunamente imbrigliati, ne fanno la forza: il narcisismo (e l'autopsicanalizzazione) e l'arte dello spettacolo. Dopo un'ora e mezza appassionante, divertente e commovente, ci siamo alzati felici e, quel che è più singolare, piuttosto soddisfatti del nostro ruolo di psicanalisti paganti. Se volete provare anche voi, ecco qualche esempio: http://themoth.org/stories

Benjamin Franklin posa divertito
con Marylene e Imbucato

La serata si è svolta a Cooper Union, veneranda istituzione educativa specializzata nelle arti e nell'architettura che per prima introdusse principi egualitari già dalla fondazione nell'800 e che tuttora fornisce una borsa di studio a tutti i suoi studenti. La scuola dispone di un bell'edificio contemporaneo inaugurato nel 2009, ma lo spettacolo si è svolto nella Great Hall, dove il 27 febbraio 1860 Abraham Lincoln pronunciò lo storico discorso contro lo schiavismo che lo proiettò verso la nomination. Altri tempi, altri candidati... 









mercoledì 15 febbraio 2012

Broadway!


Per la cronaca, a San Valentino abbiamo visto Porgy and Bess, un classico di Gershwin del 1935 approdato a Broadway a gennaio in una versione guardata con altezzoso sospetto dai puristi. A noi, che abbiamo acquistato i biglietti  al buio non sapendo cosa aspettarci e ci siamo trovati in terza fila, immersi in una storia d'amore contrastato recitata, ballata e cantata da una compagnia bravissima e affiatata, su una musica splendida e a tratti celeberrima, a noi, contrariamente ai puristi, Porgy and Bess ci ha mandati in visibilio. 

E a proposito di biglietti, se programmate di venire a NY e non volete ripartire senza aver visto almeno un grande musical potete risparmiare sul prezzo del biglietto –spaventosamente elevato- a patto di essere flessibili riguardo alla scelta dello spettacolo. I gazebo di TKTS Discount  sono aperti tutti i pomeriggi e vendono biglietti scontati anche del 50% per gli spettacoli della sera stessa. La gamma di titoli è variabile, ampia ma non completa, e se i biglietti per alcuni classici (The Phantom of the Opera, mary Poppins, Mamma Mia) sono quasi sempre disponibili, non altrettanto si puo’ dire per i grandi successi della stagione (quest’anno The book of Mormons, per esempio). Anche scontati, i prezzi scendono difficilmente sotto i 70 dollari se si vuole intravedere qualcosa di quello che avviene sul palco. Infine, al gazebo di Times Square, perennemente ingorgato da folle di turisti intorno al quale le file possono durare anche ore, preferite quello di Downtown/Fulton Street, inspiegabilmente vuoto e estremamente pratico. L’Imbucato, che lo ha scoperto dopo tre anni di intollerabili file al gelo, ci teneva a condividere il suo segreto con voi.

Questo è il gazebo/mausoleo su Times Square. Se potete, evitate lui e Times Square 


Buon Post-San Valentino a tutti!



E anche quest'anno è andata. Solo che anziché spazzarlo sotto al tappeto come al solito sperando che la data cambi in fretta sul calendario, questa volta ce lo siamo proprio vissuto, come si addice ad una coppia riunita per la prima volta dopo 19 anni di esilio poco volontario. Difficile peraltro sfuggire alla possente pressione della tradizione americana, che fa seguire la Celebrazione di San Valentino a quella del Santo Natale come prima occasione dell'anno per far tintinnare i registratori di cassa. All'Imbucato, che si aggirava ieri sera a Wall Street in un negozio della catena "American Greetings" specializzata in cartoncini di auguri prestampati, orsetti infiocchettati e cuori di porcellana sperando che nessuno lo riconoscesse, l'obiettivo commerciale sembrerebbe raggiunto. Alle cinque, all'uscita dagli uffici, c'era una fila lunghissima alle tre casse dell'American Greetings: impiegate, ma anche dirigenti in grisaglia e operai in tuta del vicino cantiere di Ground Zero diligentemente in fila col loro ammennicolo rosato o la loro stucchevole frase fatta stampata su cartoncino e strappata alla folla che si ammassava agli scaffali a effettuare gli acquisti dell'ultimo minuto. Tutti invariabilmente impettiti o forse imbarazzati, per non parlare del personale alla cassa, che nelle catene americana espleta il proprio compito con obbligo contrattuale di mai lasciarsi andare a un sorriso. Nel lasciarsi alle spalle questa gioiosa esplosione di culto dell'amore (che peraltro in America non è solo connaturato alla coppia: i cartoncini di San Valentino, forse per allargare il mercato, rivolgono auguri anche ai bambini appena nati, ai fratelli, finanche alle suocere), l'Imbucato ha rivolto lo sguardo alle vetrine decorate a festa. I lemuri rosa con gli occhioni tristi e il cuore al collo sono già a metà prezzo, e così' gli elefantini danzanti parimenti rosa. Domani è un altro giorno.
Domani non è più il giorno dell'amore. Auguri a tutti.











Mentre a New York si dorme, a Bruxelles si sbaracca.

Bruxelles, 15 febbraio 2012. Dopo 14 anni di onorato servizio come sede delle relazioni esterne, l'edificio Charlemagne in rue de la Loi cambia funzione, e sciami di funzionari riallocati trascinano le loro masserizie verso est. Ai protagonisti di questa epopea, un pensiero solidale. All'Imbucato, che dello Charlemagne è coetaneo, sia consentito un ricordo degli anni passati a costruire l'Europa dall'interno dei suoi spazi vetrati, dal 17 marzo 2000 al 31 ottobre 2011. (PS, Il limitato successo a tutt'oggi di quell'impresa non è in alcun modo imputabile al nostro vecchio, affidabile, amato Charlemagne).





domenica 12 febbraio 2012

In memory of Whitney, 1963/2012


La notizia della scomparsa tragica e prematura di Whitney Houston ci ha colto a Washington. Al riparo dalla nevicata, si discettava amabilmente in una di quelle casette immerse nella periferia della città. Una periferia in cui si affollano diplomatici, giornalisti e funzionari internazionali per addolcire alle loro famigliole le pene dell’espatrio, all’ombra dei grandi alberi e delle buone scuole.  Gli argomenti erano Afghanistan, e Pakistan, e Benazir Bhutto, e i limiti della politica americana nella regione. E mentre l’imbucato si ubriacava a vinho verde annuendo meccanicamente ai sapidi ricordi dei grandi inviati di guerra e alle scarne parole distillate dal Generale duestelle, è arrivata la notizia. Tra i giornalisti un fuggi fuggi, chi a chiedere istruzioni al giornale, chi, dopo aver consultato Wikipedia, a discettare in diretta sul ruolo della sfortunata cantante nella storia della pop music. Sbarazzatosi del pensiero dell’Afghanistan, all’Imbucato non restava che lasciare affluire i ricordi  di una Whitney  fidanzata d’Italia, giovane talento dal successo planetario, acqua, sapone e tanta ingenuità in un qualche Sanremo degli anni 80. E il suo successivo riemergere da qualche sinistra decrepita caverna, sfigurata da un decennio di droga, degrado e disperazione. In mezzo, l’apice del successo. Era l’inverno del 1992, e il futuro Imbucato, fresco di laurea neo-promosso ricercatore provvisorio presso i National Archives di Washington, scopriva l’America in solitario con la curiosità insaziabile e incantata dei neofiti. Come unica inevitabile accompagnatrice, dagli shopping mall ai musei dello Smithsonian, dalle piste di pattinaggio all’aperto all’inauguration di Bill Clinton, c’era sempre lei, Whitney, e il suo straziante, prolungato, onnipresente bramito d’amore per il Bodyguard Kevin Kostner: “But I, I, I will always love youuu”. 
Cara Whitney, il tempo stempera tutto, il tuo bramito mi è oggi meno insopportabile, e in ricordo di quel lontano, breve ma indimenticato percorso comune, spero che il mio pensiero affettuoso ti raggiunga là dove tu sei. 


Un lettore ci segnala (nei commenti) la trasmissione della TV francese degli anni 80 in cui una giovane e ignara Whitney viene lanciata nella fossa dei leoni con un priapico Serge Gainsbourg in preda all'alcool, spalleggiato da un presentatore amico delle star (che peraltro ancora imperversa). Eccovene l'integrale

Come andare da New York a Washington con 14 euro

A Washington, 225 miglia, 360 chilometri -una distanza che un treno veloce in Europa copre in due ore,  ci si può andare in molti modi. Il Giornalista predilige la navetta aerea, magari della Delta, che tra le grandi compagnie aeree americane è la meno disastrata e che parte dal Marine terminal di La Guardia, preziosa vestigia art déco a due passi da Manhattan, e arriva a Washington National, l'aeroporto più vicino al centro. Ma la navetta può costare parecchio cara. Altri voli relativamente meno onerosi partono da aeroporti più periferici, e tra l'ora scarsa di volo, i lunghi spostamenti e le attese, sono 4 o 5 ore che se ne vanno, per non parlare del costo dei taxi. Poi c'è la Amtrak, la società ferroviaria, pubblica, minacciata continuamente di scomparsa, tuttora sofferente, e che si abbarbica alle prospettive di sviluppo di un potenziale corridoio ad alta velocità lungo la direttrice orientale Boston/New York/Washington.  Nell'attesa dei necessari finanziamenti, finora solo vagheggiati da Obama, il treno per Washington ci mette attualmente 3 ore e mezza nella versione base, un serpentone metallizzato fuori e deprimente dentro al costo di 150 dollari in media, oppure una mezz'oretta di meno nella versione lusso, che guarda ai corrispettivi ad alta velocità europei in molte cose salvo che nella velocità, e che può costare anche 250 dollari. Stretto tra l'incudine e il martello, pressato dalle ristrettezze di bilancio, l'Imbucato ha finito per trovare La Terza Via, a bordo della quale vi scrive in questo momento. Sì, perché la Terza Via, che si chiama MegaBus, offre al passeggero panciuti bus blu a due piani, sedili reclinabili e spazio per le gambe, prese per ricaricare i preziosi strumenti del blogger professionista e persino il wi-fi gratuito, che ha funzionato per almeno la metà del viaggio. Per non parlare della toilette chimica pulitissima (ma l'alta qualità dei bagni pubblici americani è un argomento sul quale l'Imbucato si sentirà in dovere di ritornare a tempo debito. Contenete l'entusiasmo). ll tutto per un tragitto porta a porta, da Midtown Manhattan alla prestigiosa Union Station, in circa 4 ore e mezza per un prezzo, udite udite di 19 dollari (14 euro). E pazienza se durante il tragitto mi sono dovuto sorbire le incessanti risate da orco scannato di una coppia di ultraobesi latinos  in vena di facezie e poco inclini a preoccuparsi della quiete dei vicini. Il blog è meglio se è on the road e a contatto con il popolo. Altro che terminal art-déco.
Lumaca
Art déco
Per inciso, il viaggio di ritorno lo si è fatto in treno-lumaca. Il Giornalista è apparso poco convinto dei meriti di MegaBus e dei suoi ruspanti passeggeri.  



venerdì 10 febbraio 2012

Il pianista

Stamattina alle 11 c'era il sole e 12 gradi a Washington Square, New York. Il 10 febbraio. 


E c'era uno in mezzo alla piazza. Che suonava. Un pianoforte Yamaha. A coda. In mezzo a Washington Square. Era anche bravo. Ma come ce l'avrà portato il pianoforte a coda in mezzo a Washington Square?

(qui sotto il film originale dell'avvenimento. E un premio in spilline di Newt Gingrich a chi sapesse identificare cosa sta suonando il pianista).






mercoledì 8 febbraio 2012

Polpetta calda su Broadway

Questo è il primo post in diretta di questo blog, in esclusiva per voi da 5 napkins burger, 84ma strada e Broadway, a due passi da casa. Immerso nel cosiddetto deserto gastronomico dell'Upper West Side, un quartiere troppo borghese e troppo poco alla moda per poter ispirare gli chef/faccendieri a cinque stelle davanti ai quali i critici del new York Times si mettono in ginocchio, 5 Napkins è luogo di poche pretese culinarie ma qualche garbata velleità nell'arredamento. E sebbene il menù proponga di tutto, compreso il sushi, l'obiettivo principale è servire i migliori hamburger della città. Non ci interessa tanto sapere se riescano nell'intento. Anche se di sicuro con l'"inside out" al sangue, avvolto nella lattuga a sostituire il panino (tanto, chi ha mai voglia di mangiarselo?) e una salsa della casa a legare il tutto, alla perfezione ci si avvicinano. Un appuntamento a pranzo quasi irrinunciabile in quei giorni in cui ti prende la malinconia, che ti spinge a uscire senza andare tanto lontano e tanto meno a dispensare sorrisi nella Prestigiosa Università, mentre il Giornalista si affaccenda con le celebrità Downtown. Un luogo sicuro a due passi, musica bassa in sottofondo né retro ne modaiola, un barman amichevole al grande bancone di zinco, una polpetta calda da buttar giù con una Brooklyn lager direttamente dalla bottiglia. Casa.

martedì 7 febbraio 2012

La risurrezione del Santorum

Ci duole dover segnalare la vittoria in ben tre Stati (a quanto pare non tutti di secondaria importanza: Colorado, Minnesota e Missouri) del cattolico integralista familista anti-gay Rick Santorum, del quale dalla vittoria risicata in Iowa un mese fa nessuno aveva più avuto occasione di parlare per sopraggiunta irrilevanza. Tale solo in apparenza, tuttavia, poiché la forza congiunta degli strati ultraconservatori, evangelici e/o vicini al Tea Party, forti in quelle contrade, nonché una probabile diffusa diffidenza nei confronti del patrizio Mitt Romney, hanno finito per resuscitarlo. Il fenomeno non è nuovo in queste primarie popolate di personaggi di scarso spessore e con poche idee spesso poco raccomandabili, che si risollevano a rotazione, spinti da un elettorato radicalizzato, arrabbiato e volatile. Tra il giubilo dei commentatori politici i giochi sembrano dunque riaprirsi di nuovo. Romney, che aveva snobbato questa tornata pensando di avere già la vittoria finale in tasca, dovrà faticare più di prima a farsi considerare il Prescelto, e dopo aver affondato Gingrich, qua inesistente, a forza di spot, dovrà orientare il tiro contro la nuova minaccia. Chi sogghigna è Nonnetto Paul, secondo in Minnesota, mentre Obama può continuare a ridere, e non solo dalle pagine del New Yorker.



Ricordarseli tutti e 50 è complicato, riconoscerli sulla carta pure (anche se le iniziali aiutano), conoscerne le capitali, spesso oscure cittadine, impossibile. Questa carta dà comunque un'idea del periodo dell'anno in cui ciascun gruppo di stati è chiamato a votare per selezionare il rappresentante dei repubblicani alle elezioni presidenziali di novembre. Stasera hanno votato CO(lorado), MN (Minnesota) e MI (Missouri). In precedenza avevano votato, nell'ordine: IA (Iowa), NH (New Hampshire), SC (South Carolina), FL (Florida) e NV (Nevada). Le capitali non ve le chiedo. Gli altri seguiranno a ruota, con una concentrazione di 10 Stati (in arancione) che voteranno tra un mese, nel cosiddetto 'Big Tuesday'. La grande convention che incoronerà il Prescelto dal partito si svolgerà in agosto a Tampa, Florida

Arriva il Super Bowl, e Obama incomincia a divertirsi


La copertina del New Yorker di questa settimana in cui si gioca il Super Bowl raffigura Obama che si gode in TV la rissa non tra i Giants di New York e i Patriots di Boston  (vinta dai primi per 21 a 17 supposto che la cosa possa vagamente interessarvi), ma tra i suoi principali avversari-candidati, rivali tra loro.  Mentre Newt e Mitt se le danno, Obama risale nei sondaggi, secondo il Washington Post, e vincerebbe di parecchie lunghezze su Romney se si votasse oggi. E' la prima netta inversione di tendenza, poiché il Presidente era apparso sinora leggermente distaccato o in parità. Tediosissimi analisti politici -ce ne sono eserciti interi, sono iperprofilici e lavorano per ogni genere di testata, dal NY Times a Disney TV-  attribuiscono il fenomeno allo spettacolo fratricida offerto dai Repubblicani, oppure ai  dati sulla disoccupazione di gennaio, che sono la prima volta rincuoranti, oppure a altri fattori, più sottili e spesso incomprensibili. Tanto più che possono essere rivoltati come calzini quando tre giorni più tardi l'ennesimo sondaggio dovesse dare risultati esattamente opposti. L'Imbucato, che visti i Repubblicani all'opera (e di certo anche se non li avesse visti) deve ammettere di essere smaccatamente di parte, si accontenterà per il momento di condividere con voi il sorriso di Obama senza cercare spiegazioni. Nonché lo spot pagato dalla Chrysler in cui Clint Eastwood decanta la grande rinascita dell'industria automobilistica di Detroit. Grazie agli aiuti finanziari garantiti da Obama, hanno pensato in molti, anche se Clint, che non è un fan di Obama ma semmai un 'libertario' alla Ron Paul, smentisce questa interpretazione. Ad ogni modo, lo spot è bello, ha una forza hollywoodiana da grande riscossa e se anche non capiste tutto le parole grattugiate da Clint, godetevi anche solo il suo volto segnato e la sua voce ruvida.


lunedì 6 febbraio 2012

Las Vegas: Romney vince ancora, emerge il Nonnetto Brontolone


Romney ha vinto di nuovo, questa volta in Nevada, e la cosa fa già meno notizia. Ha anche ottenuto la benedizione all'ultimo minuto da parte di Donald Trump, palazzinaro megalomane che a Las Vegas è di casa, con il quale non sembra avere troppe cose in comune. Ma siccome ci si aspettava che Trump avrebbe finito per preferirgli Newt Gingrich, Romney ha incassato ben volentieri. E mentre Gingrich lanciava tronitruanti proclami che continuerà la campagna sino allo sfinimento, già si vocifera che il magnate dei casino' e falco filo-israeliano Adelson, che gli ha fornito la benzina finanziaria necessaria per andare avanti sin qui, incominci ad averne abbastanza di buttare soldi su un perdente e mediti di cambiare cavallo. Con Gingrich ancora rabbioso ma sempre più sgonfio, sale agli onori della cronaca, già annoiata, il "dottor Paul", il Quarto Candidato. Che sarebbe il nonnetto settantaseienne che ha il suo periodico momento di gloria quando appare abbarbicato con aria persa a uno degli scranni dei dibattiti televisivi tra candidati, ai quali ha partecipato fin dall'inizio, per poi scomparire in un apparente oblio nelle settimane successive. Paul, medico buttatosi in politica in tarda età per perseguire un suo originale programma di estremismo libertario coltivato sin dall'infanzia, ci tiene a dare di sé un'immagine di brontolone saggio ma sopra le righe. E poiché è il re degli outsider che mai potrà ottenere la nomination, si può' anche permettere con un certo successo di fare lo spiritoso. All'ultimo dibattito in Florida, mentre i principali candidati si accapigliavano sul programma spaziale ha fatto ridere tutti decretando che sulla luna bisognerebbe mandarci qualche politico, decantando la propria salute di ferro, o sbeffeggiando le enormi disponibilità finanziarie degli altri candidati in rapporto alle sue. Se Paul fa spesso pensare ai vecchietti che brontolano dal loggione del Muppet Show, di certo non va sottovalutato. Innanzitutto, povero non è grazie ai suoi ingenti investimenti, esclusivamente in beni rifugio e principalmente in lingotti. Poi, può' far sfoggio di una coerenza da conservatore vecchio stampo che fa difetto ai suoi principali avversari. Il suo programma, lo stesso da sempre, è per una sussidiarietà spinta all'estremo che punta a eliminare la presenza dello stato federale in molti settori, tagliandone drasticamente le spese e ogni forma di assistenzialismo.  Fautore del ritorno a una qualche forma di Gold Standard, Paul è nemico della prima ora della Federal Reserve, a cui attribuisce la responsabilità della crisi finanziaria (il cui verificarsi aveva previsto in tempi non sospetti). Se il suo liberismo economico è spinto all'eccesso, in politica estera non è lontano da posizioni da sinistra europea nemmeno tanto moderata: taglio draconiano delle spese militari, fine di qualunque impegno militare all'estero, pragmatismo con Cuba e rifiuto di un appoggio esclusivo e unilaterale a Israele. Sui temi sociali, può' permettersi di non essere ostile al matrimonio tra omosessuali, cosa impensabile per qualunque candidato repubblicano con qualche velleità di vittoria finale. Se Paul ha sempre avuto un ruolo marginale nel partito e non può' contare sull'appoggio dell'establishment e dei grandi finanzieri, ha dalla sua una organizzazione capillare di aficionados, per lo più giovani, che gli ha consentito di ottenere quasi il 20% in Nevada (lo stesso exploit gli era riuscito in New Hampshire), a un passo da Gingrich, e di emergere come un vero rompiscatole all'interno del partito. Perché se la nomination realisticamente non rientra tra i suoi obiettivi, Paul punta deciso a fare uscire il suo movimento dalla marginalità, infiltrandosi nel processo decisionale del partito per influenzarne maggiormente le politiche e le scelte dei candidati a livello locale e non.  Insomma, un'operazione non dissimile da quelle di tipo correntizio a cui la politica italiana ci ha abituato e che potrebbe essere coronata da successo se, come sembra, Paul potrà ottenere risultati altrettanto confortanti in almeno alcuni dei 17 Stati che voteranno nelle prossime settimane (10 durante il "Super Tuesday" del 6 marzo). Nel frattempo, aspettiamo con impazienza il nuovo capolavoro di falsa ingenuità che l'arzillo vecchietto saprà proporci durante il dibattito del 22 febbraio in Arizona, quando uscirà di nuovo da un oblio che ormai non è forse più davvero tale.


PS Per dovere di par condicio pubblichiamo la foto di Carol Paul, la quarta delle mogli, sinora mancante al nostro blog. Carol è madre di 5 figli, nonna di diciotto, bisnonna di quattro nipotini e sosia della Signora in Giallo, ci segnala una nostra gentile lettrice (Carol è quella a sinistra). 
Il marito ha reso pubblico omaggio al libro di cucina della famiglia Paul, da lei curato (supponiamo anche per incrementarne le vendite su Amazon:
 http://www.amazon.com/Ron-Paul-Family-Cookbook-2012/dp/B006VDDI8Q)