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venerdì 27 aprile 2012

Di ritorno a New York, uno sguardo sulla Francia (e l'Europa)



Dopo un volo con Air France in cui le hostess servivano -uniche ormai nel mondo occidentale- champagne in classe economica, a New York ci ritroviamo a casa: la consueta trasandatezza dell'aeroporto, e il caos organizzato su cui presiedono inutili ma cortesi addetti preposti a smistare le interminabili file di turisti esausti e in eccitata attesa che gli addetti ai passaporti aprano loro le porte dell'America. All'esterno, infrastrutture invecchiate, autostrade rappezzate e taxi abusivi, mentre quelli ufficiali,  scomodi e sbuffanti, sono guidati da individui multicolori che hanno preso la patente a 10mila chilometri di distanza, ammesso che ce l'abbiano davvero. Lo ritroviamo con divertito sollievo, questo paese che sembra tenuto insieme con lo scotch ma che trasmette un'energia innegabile.
Niente a che vedere, certo, con la Francia che ci siamo lasciati alle spalle, il suo aeroporto-cattedrale modulare in cemento armato disegnato dai migliori architetti di regime, le indicazioni cartesiane, il silenzio surreale ai nastri bagagli deserti, la stazione ferroviaria in acciaio e vetro costruita alla gloria del Grande Imperatore Socialista, solcata da gelide correnti d'aria e da TGV filanti in assetto da combattimento, le macchinette elettroniche in ogni angolo, a incutere un senso di efficienza e a risparmiare su inutili salari. A fronte di tanta ostentata efficiente opulenza, il paese sembra impietrito, impaurito e ripiegato su se stesso, impegnato ancora una volta a difendersi dal richiamo del razzismo e della xenofobia, che il fallimentare e ormai ridicolizzato ducetto che ha governato fino a oggi non ha avuto scrupoli a evocare e incoraggiare.  E la probabile elezione di un socialista non sarà salutata come il trionfale incedere della storia, come accadde trent'anni fa, ma con la scettica apatia di chi si augura il male minore. E mentre da sotto l'ombrello osservavo la solita Parigi densa, seriosa e indaffarata, per di più flagellata da una pioggia in apparenza senza fine, mi chiedevo se lo champagne in classe economica resisterà ai tagli previsti per fronteggiare le perdite colossali accumulate da Air France l'anno scorso. Bon courage, M. Hollande, bon courage, vieille Europe.

Un'oasi di Vieille France: La Baie de Somme



Scarse le macchinette elettroniche (a parte una installata dal boulanger locale per distribuire il pane fresco: è davvero una mania nazionale!) e le infrastrutture di lusso in Baie de Somme, Picardie, nord della Francia. Una vecchia, pulitissima stazione in stile fiammingo, e treni veri, gentili perché privi di muso da squalo, che la collegano alla lontana Parigi, a Calais, Boulogne, Amiens. La pioggia arriva a ondate, ma il vento della baia la spazza via di continuo, lasciando spazio a sprazzi di cielo blu percorso da nuvoloni bianchi rapidissimi. L'albergo è un gioiellino accudito con amore dai proprietari (belgi) e dal personale alla mano, che ancora segna le prenotazioni scrivendo fitto in un gran librone. Gli ospiti sono habitué affezionati, ex-giovani come noi, talora con bambini, o decisamente anziani, che si godono le ostriche magnifiche del menu serale e un cognac dopo cena seduti sulle poltrone del soggiorno con vista sulla Baia. Una piccola oasi che ci ha offerto asilo in un momento in cui avevamo bisogno di essere accuditi. Anche se, ma non ditelo a nessuno, in questa regione Le Pen ha sfondato il 25%...

Hotel Les Tourelles, Le Crotoy, Picardie





domenica 22 aprile 2012

A prestissimo

Cari lettori, l'Imbucato è tornato nel Vecchio Continente per qualche giorno. Appuntamento a presto.
Abbeville (Patria del Giornalista), Picardie,  21 Aprile 2012

venerdì 20 aprile 2012

La Signora Segretaria di Stato

Chi non vorrebbe avere un Ministro degli Esteri così? Ecco Hillary che troneggiante al centro di un aereo militare diretto in Libia scruta con calma olimpica i messaggi da dietro un paio di occhiali scuri molto glamour. La foto è diventata subito celebre e ha contribuito a rafforzare la crescente popolarità del personaggio. Hillary è sempre meno la giurista radical chic algida e intellettualoide detestata da molti, per non dire la strega liberal che certi ambienti della destra estrema avrebbero volentieri mandato al rogo. E sempre più una statista al di sopra delle parti che si è distinta come Segretario di Stato, un icona della lotta per i diritti delle donne nel mondo, nonché un leader che ha dimostrato umiltà e pragmatismo nell'accettare di lavorare per un Presidente che pure era stato suo rivale. E a 64 anni Hillary, forse fiutando l'aria della popolarità crescente, sembra persino avere imparato a rilassarsi e a prendersi meno sul serio. Intorno alla foto in alto è nato un vero fenomeno su Internet grazie a due amici buontemponi che annoiati e un po' brilli durante una serata in un bar gay hanno imbastito delle conversazioni immaginarie via SMS tra Hillary e svariati personaggi celebri. Ne è nato il sito 'Text from Hillary", che si prende benevolmente gioco del potente Segretario di Stato e che ha avuto enorme  fortuna in rete (dateci un'occhiata, alcuni dei brevi dialoghi sono divertenti. Qui sotto troverete a titolo di esempio un presunto scambio con Obama). Hillary ha accolto con divertimento, dicono, la campagna su Internet e ha colto la palla al balzo per mostrare benevolenza e farsi pubblicità invitando al Dipartimento di Stato gli autori, con i quali ha fatto un po' di caciara (eccoli tutti e tre a destra). I sondaggi la premiano: è attualmente il personaggio politico più apprezzato del paese. Se si votasse oggi, sarebbe sicura di ottenere la nomination democratica e avrebbe ottime chances di vincere contro qualunque candidato repubblicano. Lei spergiura di voler abbandonare la politica dopo aver terminato il proprio mandato al Dipartimento di Stato ma nessuno ci crede. E se il 2016 fosse l'anno buono per un Presidente donna e ormai anche molto cool?

Quella al centro non è Madonna, ma l'ex-algida Hillary

giovedì 19 aprile 2012

Il nostro caro Bill e il mio bambino

Dopo avervi presentato Simon Z. (a cui, vi rassicuro, ho risposto con un cortese messaggio di ringraziamento di due righe), un piccolo omaggio personale al tizio al quale si accompagna: William Jefferson Clinton, detto Bill, 42mo Presidente degli Stati Uniti dal 1993 al 2001. Portatore del primo progetto di svolta progressista dopo gli anni della deregulation ideologica reaganiana, osteggiato da una destra incattivita capeggiata da Newt Gingrich che lo demonizzò e lo mise in stato d'accusa per ragioni pretestuose ed essenzialmente politiche, Clinton gode oggi di tassi di popolarità altissimi, e nei sondaggi figura tra i grandi presidenti degli Stati Uniti. Difficile pensare che lo sia stato davvero: gestì un lungo periodo di pace ed espansione economica ma gli mancò il coraggio della rottura, mentre sul piano personale la sua eccessiva disinvoltura non era meritevole di impeachment ma non fece onore né a sé né al paese.  Di certo è considerato oggi una sorta di Padre della Patria e l'icona del Partito democratico, e non ha perso un'oncia del suo enorme carisma di uomo del Sud in sintonia con la gente comune. Io e il Giornalista ne siamo stati vittime fin dall'elezione nel 1992, e dal giuramento nel gennaio seguente, cui il giovane Imbucato partecipò confuso tra la folla nel gelo di Washington. Il Giornalista ne ha poi incrociato il cammino più volte, occasionalmente con Imbucato al seguito. La foto sopra a destra è stata fatta nel 2010, nel paesello lungo l'Hudson in cui la figlia Chelsea si produsse in un matrimonio ultramondano, militarizzato e inaccessibile. Con Clinton che non seppe però esimersi dal materializzarsi da "Gigi Osteria", in maglietta, per festeggiare con la gente comune e tuffarsi in uno di quei bagni di folla che lo mandano in visibilio. L'ultimo esempio a cui abbiamo assistito? All'uscita da un ristorante chic dell'Upper East Side in cui il Giornalista aveva appena finito di intervistarlo e dove l'Imbucato, più per stanca curiosità che per vera adulazione lo aspettava, mantenendosi a debita distanza. Ma non aveva fatto i conti con l'insopprimibile istinto da animale politico dell'ex-Presidente. Il quale, uscito con fare festoso dal ristorante, si lanciò con ingordigia sugli scarsi passanti e ammiratori, afferrando loro le mani. Poi, dopo aver stretto anche la mia, ha pensato di farmi cosa gradita abbrancando un bambino a caso, chinandosi amorevolmente verso di lui e sorridendo verso di me. Credendo fossi il papà. Stordito, ho fatto la foto, in buona parte per non deludere il vecchio Bill. Un secondo dopo era scomparso nel macchinone della scorta. Ed eccola qui, la foto: il nostro amico Bill con il mio -presunto- figliolo, peraltro anche credibile come tale. Chissà se il vero papà, probabilmente un informatico di Bangalore di passaggio a New York, si sta ancora mangiando le mani. 



martedì 17 aprile 2012

La mia amica Julie, o della Solitudine a New York

In assenza del Giornalista, impegnato per una settimana in un reportage sull'oro nero nelle terre di Fargo e ora suo malgrado di ritorno in Europa per ragioni familiari, la ragion d'essere dell'Imbucato in terra americana entra un po' in sofferenza. 
La mia amica Julie

Ma per fortuna che c'è New York: stamattina al risveglio, solitario e poco entusiasta, c'erano 20 gradi, ma si sentiva già che il termometro sarebbe salito sino a 32, vicino al record del 1992 di cui serba memoria il New York Times. Un'atmosfera sospesa, e un odore nell'aria di caldo e di fiori, da vacanza tropicale, appena fuori contesto. Sulla 87ma, la nostra strada, la solita attività fluida, ma più indolente del solito. Mamme e balie a spasso,  facchini che scaricano consegne, il corriere del DHL, chi ridipinge il balcone, chi prende il sole nella loggia condominiale chiacchierando animatamente al Blackberry. È facile lasciarsi prendere dall'attivismo indolente di New York. Una doccia, un salto nella metro deserta sino a Prospect Park a Brooklyn, il gemello di Central Park, tanto più bello e incantato perché tanto più trascurato. E dopo una salutare passeggiata lungo il lago e gli edifici storici del parco e dello zoo, chiusi in attesa del week-end, mi fermo per un pranzo tardivo a base di Cobb Salad al bancone. Accanto a me Julie non ci mette molto a chiedermi di me e del mio accento. Mentre sorseggia qualche Vodka orange pomeridiano mi racconta del Texas dove ha passato la gran parte della sua vita, sesta di sette figli, figlia di genitori neri e illuminati che si sono creati una carriera rispettabile malgrado il razzismo allora imperante, e hanno spinto i figli a fare altrettanto. Julie fu mandata in Bretagna a imparare il francese, che ancora mastica con civetteria, e ad aprirsi verso il mondo. Bastò per farle abbandonare ogni precedente velleità di diventare cameriera in un hamburger restaurant, per instradarla a degli studi giuridici di base, e per farla sentire stretta nella realtà provinciale e ottusa del Texas, su cui ancora gravano il razzismo strisciante e la segregazione che ogni comunità spesso tende a autoimporsi. Ha viaggiato un po', ma da un anno e mezzo è approdata a New York. Il buon contratto offertole inizialmente ha avuto vita breve, ma ha avuto il merito di farle scoprire una vita diversa nella grande metropoli che non può permettersi di essere razzista con nessuna delle mille comunità che la compongono. Julie ha affittato casa in Texas, e cerca di sfruttare la propria esperienza ventennale di assistente in uno studio legale per costruirsi una carriera da consulente a New York. Sul piano sentimentale, a 51 anni si sente pienamente realizzata. Anche se, ammette, non è sempre facile gestire la sua storia con Tony, un imprenditore benestante italo-americano, tenero e dalla gran pancia che bisogna saper manovrare nelle occasioni intime, con la torrida relazione sessuale che intrattiene con il giovane egiziano che gestisce il carrellino del kebab dell'angolo. E mentre ci abbracciamo per salutarci e le faccio gli auguri per la sua nuova vita, mi dico che poiché a New York tutti in fondo sono soli, sentirsi soli è semplicemente impensabile.

La metro a Brooklyn, un giorno di solleone
Architettura incantata a Prospect Park 
  


giovedì 12 aprile 2012

Sulla socializzazione in America e come ti sistemo Facebook

Quello che segue è un breve case-study sulle tecniche di socializzazione negli Stati Uniti, sempre in bilico tra socievolezza, ingenuità e interesse personale:
Quello a destra  nella foto si chiama Simon Z., è uno studente californiano in studi mediorientali all'Università di Santa Barbara, attualmente in stage presso la Clinton Foundation a Harlem. Una sera di un paio di settimane fa faceva visitare Times Square alla fidanzata mentre ci trovavamo nei paraggi. Con il pretesto di una foto, è nata una di quelle amicizie in pillole in cui sono specializzati gli americani e che sconcertano  il visitatore europeo, per natura più riservato con gli estranei. La sincera curiosità verso il prossimo e l'ansia di acquisire nuove conoscenze da metabolizzare e incasellare rapidamente nel loro sistema mentale vanno di pari passo negli Americani con la propensione a condividere la propria vita con gli altri, spesso senza troppo preoccuparsi di fornire dettagli personali anche a dei perfetti estranei. Così, in un quarto d'ora di conversazione serrata e in un crescendo di entusiasmo sotto gli occhi dell'esterrefatta amica sardo-romana appena sbarcata dall'Europa, di Simon e della sua fidanzata abbiamo appreso tutto o quasi, e lui di noi, sino a scambiarci gli indirizzi e-mail. Che noi, pur contenti dell'incontro inaspettato, abbiamo prontamente archiviato senza seguito. Ma non Simon, ancora giovane ma perfettamente indottrinato alla cultura americana del follow up, che spinge a scorgere dietro ogni contatto, più o meno formale, una possibile utilità in funzione della propria carriera presente o futura. Così, anziché un'eventuale mail informale, ne abbiamo ricevute due, una a testa, identiche nella forma ma nella sostanza abilmente adattate ai nostri rispettivi interessi professionali, in cui Simon si rallegrava del nostro incontro esaltante (in America gli aggettivi in questi contesti non sono mai troppo misurati), definiva entusiasmante il fatto che avessimo tante cose in comune (le relazioni internazionali, nel mio caso), esprimeva la speranza di rivederci presto, e corredava il tutto con la foto con l'ex-Presidente, per fugare ogni dubbio di mitomania. Mancava solo il Curriculum in allegato. L'episodio dell'incontro con il socievole Simon aiuta a spiegare perché un fenomeno come Facebook, basato sulla catalogazione di orde di illustri sconosciuti sotto la voce "amici", e sulla profittevole monetizzazione della loro ansia di contatti sociali (Facebook  si appresta a fare il suo ingresso in Borsa con un valore probabile intorno ai 100 milioni di dollari), potesse essere inventato in un solo paese al mondo: gli Stati Uniti.

Riguardo a Facebook: dopo attenta riflessione ho presso la sofferta decisione di riaprire il mio conto (e anzi di aprirne un secondo per esigenze diciamo commerciali a nome della mia casetta di campagna). Il conto era rimasto faticosamente attivo per pochi mesi prima che lo chiudessi con un certo livore due anni fa, imprigionandoci dentro i cinque soli scalcagnati veri amici e vaghi conoscenti che mi ero imposto di accettare. Ma ho altresì preso la solenne decisione di non accettare alcuna futura richiesta di nuovi "amici", la cui unica funzione, mi risulta, è quella di imbrattare il cosiddetto 'muro' con le loro insulse stupidaggini. È una resa, ma non senza condizioni, ne converrete.

martedì 10 aprile 2012

Bye bye, Santorum

Salutiamolo così, con un pensiero affettuoso alla sua bella famiglia, la vera protagonista di questa sua campagna elettorale così altalenante, a tratti scintillante e alla fine poco fortunata. Dopo avere temporaneamente sospeso la campagna per accorrere al capezzale della sfortunata figlia Bella, gravemente malata e regolarmente usata suo malgrado come argomento della crociata antiabortista e familista che è stata il sale della campagna, Rick ha ora annunciato il ritiro. Appena in tempo per evitare una possibile sconfitta in Pennsylvania, il suo Stato, e dilapidare il patrimonio acquisito di campione incontrastato della destra più reazionaria, bigotta e oscurantista così alla moda nel partito repubblicano odierno. Un patrimonio che Rick spera possa tornare utile a tempo debito. Perché il sogno di Santorum non è certo quello di seguire le orme di Sarah Palin, improvvidamente proiettata sulla ribalta nazionale come candidata ultraconservatrice alla vicepresidenza nel 2008 e poi ripiombata in un oblio appena temperato dalla sue allegre comparsate televisive. No, lui mira a eguagliare il ben più fulgido esempio di Ronald Reagan, candidato radicale inizialmente sconfitto alle primarie dal più moderato Ford nel 1976 e poi impostosi trionfalmente quattro anni dopo, e per due elezioni presidenziali consecutive, fino a diventare l'ineguagliato padre spirituale del partito in epoca moderna. Di strada da fare gliene resta, e di auguri non ci sentiamo di fargliene. Quello che ci preme è augurare alla nidiata di malcapitati bambini Santorum uno sviluppo sano e equilibrato, nei limiti del possibile, lontano dalla telecamere.


L'imbucato non riusciva a crederci, ma questa non è il fotogramma di una parodia holliwoodiana su una famiglia americana (sub)normale sull'orlo di una crisi di nervi, ma una vera foto della famiglia Santorum che esprime il suo disappunto come può in occasione della mancata elezione al Senato di papà nel 2006. Manca solo il cugino Itt a fare capolino da dietro il podio

mercoledì 4 aprile 2012

Mitt, liberaci dai pantaloni di Santorum

Le ampie vittorie di Mitt Romney alle primarie repubblicane in Winsconsin e Maryland il 3 aprile hanno affossato le già scarse speranze di vittoria finale per l'Integralista Cattolico Rick Santorum. A più di metà percorso, Romney domina per numero di delegati e si avvicina -sebbene faticosamente- alla fatidica soglia di 1144, che garantisce la nomination e che è ormai matematicamente preclusa a Santorum.

Candidate
Apr.3
Total to date
Mitt Romney
Romney
71
646
Rick Santorum
Santorum
0
272
Newt Gingrich
Gingrich
0
135
Ron Paul
Paul
0
51

Per di più, la base elettorale di Romney si allarga progressivamente agli strati più conservatori -tra cui gli evangelisti- il cui appoggio incondizionato aveva consentito a Santorum di espugnare alcuni stati del profondo sud, ma che ora cominciano a non considerarlo più una scelta plausibile. Santorum continua comunque a sognare di sparigliare le carte alla Convention repubblicana in agosto, e promette che non getterà la spugna tanto facilmente. La prossima battaglia campale, tanto per cambiare decisiva, si giocherà a fine aprile in Pennsylvania, lo Stato di cui Santorum è originario e che deve vincere a tutti i costi per poter millantare di essere ancora competitivo. Romney dovrà quindi ancora pazientare prima di poter concentrare tutta la potenza di fuoco contro Obama, il quale nel frattempo ha consolidato il suo vantaggio nei sondaggi rispetto a lui: a livello nazionale; negli Stati chiave (quelli che oscillano regolarmente tra democratici e repubblicani); e in certi gruppi, quali le donne e ispanici. E manco a dirlo, se l'avversario dovesse essere il radicale Santorum Obama è dato per vincente a mani basse. 
L'orribile indumento

Ma l'elemento che più di tutti sembra squalificare Santorum nella corsa alla nomination ce lo segnala la rivista maschile di moda e tendenze Esquire, che rivolge lo sguardo atterrito dei suoi redattori newyorchesi radical-chic dalle spiccate tendenze metrosessuali, vale dire tutto quanto Santorum aborrisce o non riesce nemmeno a contemplare, sui pantaloni indossati dal Candidato durante la campagna. Tagliati male, troppo larghi, malamente scoloriti, quei jeans, 'i più brutti mai apparsi su delle gambe americane' sono 'un insulto agli elettori', inadatti a qualunque ambiente di lavoro che non sia un ranch. Nell'invitarvi a osservare con cura l'orribile indumento, ci premeva sottolineare che esso è quanto di meno repellente Santorum, che dà voce alla parte più oscura e retriva della società americana, abbia da offrirci. 
Un inconsapevole ammiccamento alla ben più simpatica Famiglia Addams 











lunedì 2 aprile 2012

Il Topastro Gonfiabile e i diritti sindacali

Chi leggendo il post l'Hotspot senzatetto possa essersi fatto l'idea che negli Stati Uniti il mercato del lavoro sia basato sul puro equilibrio tra domanda e offerta -altamente dipendente dalla congiuntura economica- senza soverchie garanzie giuridiche per il lavoratore sappia che ha ragione. Il tasso di sindacalizzazione negli Stati Uniti, attualmente appena sopra il 12%, continua a scendere (anche se è più elevato nel settore pubblico e in certi comparti chiave, dall'automobile al trasporto aereo) e la contrattazione collettiva è marginale. E del diritto di sciopero, meno tutelato che in Europa, si fa un uso molto saltuario. Tuttavia, in America c'è un mezzo infallibile a disposizione dei sindacati per far valere i diritti dei lavoratori. Quale?
Il Topastro Gonfiabile. Scabby the Rat, questo il suo nome per chi lo conosce bene, è la nemesi dei datori di lavoro che applicano pratiche antisindacali o non rispettano le norme di sicurezza. Può apparire dall'oggi al domani sul marciapiede di fronte alla loro impresa e con i suoi occhietti iniettati di sangue, zanne acuminate e artigli minacciosi attirare pubblicità negativa, quanto di più temuto negli Stati Uniti. L'esemplare raffigurato qui sotto protesta contro la presenza di amianto in una delle più celebri delikatessen dell'Upper West Side, Zabar's, i cui proprietari da quasi un secolo, la stessa famiglia di origine ebraica dell'Europa centro-orientale, non devono avere molto apprezzato. Nato più di vent'anni fa a Chicago, il Topastro Sindacalista fa ormai parte del panorama urbano newyorchese: in certi giorni se ne segnalano più di trenta in azione.
Se avete un problema da risolvere col vostro capufficio, una rivendicazione che si trascina da troppo tempo, l'Imbucato vi consiglia di ricorrere al Rattone. Costa 8000 dollari nella sua versione da 3 metri e mezzo, ma può essere riutilizzato a piacimento e vi verrà recapitato a casa dalla ditta che lo produce nell'Illinois: Big Sky Balloons. Dateci un'occhiata, non potrete più farne a meno.

Mostruose proporzioni
Il vendicatore Solitario