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martedì 3 luglio 2012

Dalla California qualcuno ci guarda




Adagiata su un'altura che domina la Simi Valley poco a nord di Los Angeles e che lascia scorgere in lontananza i dolci, aridi profili del Canyon Park, la Ronald Reagan Presidential Library è punto di riferimento per i tanti semplici cittadini e gruppi politici organizzati che intorno all'ex Presidente hanno costruito un vero e proprio culto della personalità. Reagan è stato uno dei Presidenti che più hanno diviso il paese e il mondo, e chi come me è cresciuto in Europa negli anni '80 considera assiomatico detestarne la retorica liberista, l'avversione al ruolo regolatore dello Stato, l'anticomunismo viscerale e la politica di riarmo. Sebbene la sua eredità politica sia tuttora controversa, il giudizio sui suoi due mandati ha tuttavia subito un'evoluzione. Oltre allo straordinario carisma e capacità di comunicazione che nessuno gli potrebbe negare, anche gli avversari liberal del New York Times gli riconoscono pragmatismo e inclinazione al compromesso, specie in rapporto alla cieca intransigenza ideologica su cui si è appiattito l'odierno Partito Repubblicano, che di Reagan sa apprezzare solo l'oltranzismo retorico. Tagliò le tasse drasticamente come aveva promesso ma seppe anche andare nella direzione opposta per fronteggiare il deficit crescente; dilatò a dismisura le spese militari per fronteggiare l'Unione Sovietica ma seppe tendere la mano a Gorbaciov al momento opportuno, aprendo la strada al disgelo e al disarmo nucleare.

Reagan e Gorby (82 anni)
Reagan e Nancy (91 anni il 6 luglio)
Persino Obama non fa mistero della sua ammirazione per Reagan, non sul piano dei contenuti ma per aver saputo rilanciare l'America imprimendole una trasformazione a immagine della propria visione politica.  La sua eredità si è rivelata talmente duratura che tutte le amministrazioni successive hanno dovuto abbracciarla o adattarvisi, fino a quando il crac finanziario del 2008 ha finito per metterla in crisi.  E mentre i suoi avversari repubblicani a essa si attaccano rabbiosamente come naufraghi a una cima, facendo peraltro mostra di dogmatismo e scarsa capacità propositiva, Obama vorrebbe riuscire a discostarsene, affrancandone il paese in maniera altrettanto duratura. Ma con la situazione economica che non accenna a migliorare Mitt Romney cercherà di avere buon gioco contro il Presidente usando gli stessi semplici argomenti economici con i quali Reagan affondò Carter nel 1980. Rivolgendosi direttamente ai cittadini colpiti dalla crisi economica chiese: "La vostra situazione è migliorata rispetto a quattro anni fa?". All'epoca gli americani risposero di no, mettendo al tappeto il Presidente uscente. Oggi la risposta potrebbe non essere altrettanto semplice. Carter era più screditato e si era dimostrato di gran lunga più inetto di Obama, che è ancora rispettato e popolare. Inoltre, Reagan era l'astro nascente della destra (a 70 anni!) e portatore di una visione potente e alternativa, nonché ex-governatore di un grande Stato come la California e candidato sconfitto di stretta misura alle primarie repubblicane di quattro anni prima dal Presidente in carica Ford. Non altrettanto si può dire dell'insipido plutocrate Romney che ancora stenta a decollare nei sondaggi e che non dispone di un centesimo del carisma dell'anziano ex-attore. Provare per credere: eccovi l'appello agli elettori che seguì il dibattito Reagan/Carter del 1980 con il quale Reagan mise in tasca la vittoria. Mitt Romney può sempre imparare:



Le Presidential Libraries: Franklin Delano Roosevelt fu il primo, ma tutti i suoi successori ne seguirono l'esempio alla fine del mandato donando al governo federale le loro carte personali e di lavoro e facendo costruire con l'impegno finanziario di sostenitori e simpatizzanti privati un archivio che le ospitasse, di norma associato a un museo dedicato alla loro Presidenza. Queste "Presidential Libraries" sono oggi dodici, ospitate da un capo all'altro del paese nelle comunità di origine di ciascun Presidente: dallo Stato di New York di Roosevelt alla California di Nixon, attraverso il Kansas di Eisenhower, l'Arkansas di Clinton e via elencando.  La lista è destinata inevitabilmente ad allungarsi: l'apertura di quella dedicata a George W. Bush è prevista per l'anno prossimo a Dallas, mentre Obama deve sperare in cuor suo di non doversi occupare della questione tanto presto. Il paradosso che gli Americani non fanno fatica a trovare conciliabile è che le "Libraries" svolgono il duplice ruolo di autorevoli centri di ricerca i cui fondi documentali sono gestiti per legge con criteri scientifici dai "national Archives", e di sacrari laici fatti erigere alla propria gloria eterna dai Presidenti del dopoguerra e dai loro fan. Come moderni faraoni, la maggior parte dei Presidenti che non sono più di questo mondo si sono peraltro avvalsi della facoltà di farsi inumare nei giardini ombreggiati della loro Library. I musei presidenziali sono curati e interattivi e danno accesso a materiali audiovisivi inediti o poco noti.  Tuttavia, l'intento agiografico di chi li ha finanziati e fatti costruire inevitabilmente fa capolino dietro l'apparente impostazione obiettiva. 
Se le sezioni dedicate alla First Lady di turno, ai doni ricevuti dai Capi di Stato stranieri e alla ricostruzione del mitico Ufficio Ovale non mancano mai, la Reagan Presidential Library offre in più una chicca: l'Air Force One inaugurato nel 1973, che servì a scarrozzare in giro per il mondo sette Presidenti, fino a George W. che lo mise in pensione definitivamente. Il vecchio 707 cromato e lucidato fa bella mostra di sé in un grande hangar, e la gente fa la fila per farsi fotografare sulla scaletta e ammirarne gli interni in formica, i vecchi rivestimenti in sky, gli angusti corridoi. Simboli di un immenso potere che talora predilige l'understatement. 

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