Il Diario dell'Imbucato negli U.S.A.: Chicago, Illinois, 10.18 pm: Four More Years!!

martedì 6 novembre 2012

Chicago, Illinois, 10.18 pm: Four More Years!!

Stevie Wonder, 1970, etichetta Tamla Motown: Signed, sealed, delivered, I'm Yours, prima nomination ai Grammy Awards per Wonder. È la canzone ufficiale della campagna di Barack Obama 2012.

1 commento:

Unknown7 novembre 2012 alle ore 06:25
decisivi i white/blue collar dell'ohio e della pennsylvania, il car bailout di obama ha inciso soprattutto in termini elettorali
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Chi ha scritto questo Blog

Prima di essere promosso sul campo Imbucato Speciale presso una prestigiosa università dell'Upper West Side nonché al seguito di alcune tappe della carovana elettorale americana del 2012, per più di 14 anni l'autore di questo blog ha svolto una rispettabile attività di funzionario presso una nota istituzione europea dal solido passato e dall'avvenire reso incerto dalla congiuntura e dall'insipienza dei cosiddetti leader europei. In questa veste, ha contribuito con professionalità alle contorsioni della politica estera europea in questi anni. Tornerà a farlo quando riguadagnerà la sua scrivania, o quella di un collega momentaneamente assente, al termine di questa avventura americana. Nella vita privata ha condiviso gli ultimi vent'anni con un giornalista di stirpe caucasica, corrispondente di una veneranda rivista-istituzione europea. A New York li ha ospitati un appartamento borghese di Manhattan a malapena sufficiente a contenere i loro devices Apple, a cui l'autore si è ormai convertito con studiata riluttanza. Un simpatico gatto immaginario ha contribuito a riempire i vuoti di certe giornate. Dopo avere per più di vent'anni violentato la lingua inglese scritta con sadica pervicacia in omaggio alle regole grammaticali dettate dalla Comunità internazionale, l'autore ha deciso di utilizzare per questo blog solo la propria lingua madre, che con suo grande rincrescimento non è il sardo.

A proposito della quotazione di facebook

Dopo appena qualche giorno dalla quotazione in Borsa di facebook, con malcelata soddisfazione molti notisti finanziari la bollano come un mezzo fallimento. L’Imbucato, che ha poca dimestichezza con la materia ma conserva un po’ di senso comune, non ha difficoltà a unirsi gioiosamente al coro, e vi propone la gustosa parodia di una lettera di Marc Zuckerberg ai potenziali investitori, scritta in realtà dall’umorista Andy Borowitz. Un assaggio? “Caro investitore potenziale, per anni ha perso tempo su facebook. Ora è arrivato il momento di perderci anche i soldi. (…) Se investirà su facebook non sarà solo. A forza di usare facebook, negli ultimi anni più di 900 milioni di persone hanno riportato danni cerebrali di varia entità, che hanno fortemente ridotto la loro capacità di compiere ragionamenti complessi. Costoro saranno i suoi nuovi partner finanziari!”. Per la versione integrale, cliccate sulla figura.

Ma per fortuna che c'è...

Nello scrivere in un post ‘per fortuna che c’è New York’ mi è affiorato alla mente Giorgio Gaber che usò la stessa formula a proposito di un tale che portava il mio nome. Uno simpatico, pare, malgrado passasse il tempo a giocare a biliardo da solo. È una canzone del ‘69 che ha di certo infestato la mia fanciullezza ma credo mi abbia anche incoraggiato ad acquisire consapevolezza della mia esistenza in tenera età. Non c’entra niente con New York, ve la propongo per pure ragioni nostalgiche. Se cliccate, oltre a Gaber ritroverete Mike Bongiorno e persino Mina.

Il jazz e Dee Dee

Auguri a Dee Dee Bridgewater, nota cantante jazz che ha festeggiato in nostra compagnia il suo 62mo compleanno al Blue Note, uno dei locali di New York che hanno fatto la storia la storia del jazz e che continuano ad accoglierne vecchie e nuove leggende. Contrariamente a certi suoi colleghi, talora generosi come impiegati delle Poste a fine turno, Dee Dee non si è risparmiata per quasi due ore e ha dato volentieri spazio ai suoi ottimi musicisti, alcuni dei quali giovanissimi. All’uscita, una signora newyorchese un po’ alticcia estasiata dallo show, appresa la nostra provenienza (due sardi, un olandese e un belga), si è rammaricata che il jazz ai newyorchesi non piaccia più tanto: fatta salva la rumorosa claque di alcuni musicisti, di americani tra il pubblico ce n’erano di sicuro pochissimi.

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