Tempi difficili, per New York. Tempi difficili per l'Imbucato.
Da settimane si aggira per una città ancora intenta a leccarsi le ferite dell'Uragano Sandy. Le lunghe code di tassisti alle pompe per accaparrarsi il carburante razionato; la ripresa a rilento delle attività commerciali nel sud di Manhattan e la scomparsa di quelle che non ce l'hanno fatta a risollevarsi; i disagi a ripetizione nei trasporti pubblici che si sono protratti per settimane e non sono ancora completamente riassorbiti; i racconti attoniti di chi non aveva come noi la fortuna di abitare a nord della 14ma strada e si è trovato per una settimana proiettato nel Medioevo delle candele, delle strade oscure e delle toilette senz'acqua; le migliaia di senzatetto ancora abbandonati a se stessi in tanti quartieri borghesi sul mare, a un tiro di schioppo da Manhattan. Mentre la flebile voce di chi abita nei casermoni popolari delle località più periferiche e meno rilucenti ancora senza luce e acqua a settimane dall'inondazione non riesce a farsi sentire. Tutto contribuisce a creare l'impressione che i fragili equilibri ecologici e socio-economici di questa ricca megalopoli-vetrina che tuttora rivendica il suo ruolo di capitale mondiale abbiano retto a malapena a un'onda anomala di quattro metri. E che l'eroismo stancamente accampato dai suoi abitanti e la fierezza della lotta a mani nude contro gli elementi non saranno in futuro sufficienti a salvarla, in assenza di interventi sulle sue infrastrutture neglette e affaticate, che peraltro ben pochi sembrano reclamare. Tempi difficili, per New York. Che riprese le quotidiane occupazioni, ha faticosamente riacceso le sue mille luci e cercato di archiviare la tempesta. In attesa della prossima.
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