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martedì 29 maggio 2012

Un salto in spiaggia in ricordo dei caduti


Memorial Day, dedicato al ricordo dei caduti, cade l'ultimo lunedì di maggio e chiude uno di quei -rari- week-end lunghi durante i quali agli americani è consentito un fuggevole sollievo dallo stacanovismo cui è improntato il loro sistema sociale. A New York le strade si svuotano un po', la metro rallenta a ritmi domenicali, c'è chi si concede un picnic nel parco e il primo salto in spiaggia. Anche perché con quell'ansia di catalogazione che è pure tipica della cultura americana, Memorial Day è tradizionalmente considerato l'inizio dell'estate. Chissà perché, con tanto anticipo sul calendario. Ma l'estate non ha voluto tradire le attese. 35 gradi all'ombra: un caldo di intensità agostana ma di natura sub-tropicale, umido, soffocante, con frequenti temporali. Chi non può permettersi di andare troppo lontano si è riversato a Coney island, la spiaggia situata nell'estrema punta sud di Brooklyn, da quasi due secoli preferita dei newyorchesi, sebbene con alterne fortune: da stazione balneare chic dell'alta borghesia newyorchese nell'800 e i primi del secolo, a destinazione di gite domenicali popolari a base di giostre colossali, hamburger e zucchero filato, alla decadenza post-bellica che ne ha fatto progressivamente terra di scontro di gang, all'ombra delle case popolari spuntate come funghi e di un luna park abbandonato e ischeletrito. Il New York Post, tabloid popolare (e populista) per eccellenza, ne celebra la possibile rinascita, con folle oceaniche che l'hanno preso d'assalto ieri, e soprattutto nuovi investimenti da parte di una ditta italiana che promette di rilanciare il luna park e il lungomare. 
Troppo snob per lasciarci affogare nel carnaio, abbiamo preferito passare il lunedì di festa a casa, allietati dall'inno nazionale ripetuto a intervalli regolari dal vicino ospedale con lo scopo di rinfocolare lo spirito patriottico dei suoi disgraziati ospiti della terza età che devono averlo da tempo smarrito. E con il nuovo passatempo a cui dedicarci: i fiori e le piante disseminate in terrazza durante un pomeriggio afoso dal nostro storico-accademico-designer-giardiniere preferito (nella foto), e ora certamente atterrite di essere lasciate preda della nostra distratta e capricciosa imperizia. Se potessero farlo, se la sarebbero già data a gambe, anche se per il momento non possono davvero lamentarsi: grazie a una bella innaffiata con la quale iniziamo entusiasti ogni giornata, sembrano essere sopravvissute intatte per i primi tre giorni. Ora attendono con trepidazione la lunga estate calda cui la tradizione ha appena dato inizio. Buona estate a tutti, ma soprattutto al nostro coreografico ma ahimè assai cagionevole giardino pensile.

lunedì 28 maggio 2012

Quel nido d'amore a Bruxelles

Sempre in tema di Belgio, questo è un breve racconto di natura più personale.

Per potermi permettere le mie attuali multiformi ma poco redditizie attività di Imbucato in America e rientrare con le spese, prima di partire ho deciso di affittare per un anno il mio appartamento a Bruxelles. La ricerca di inquilini è stata rapida: Dolores e Alberto -la coppia spagnola di mezza età che l'ha visto per prima- se ne sono subito innamorati e senza troppo discutere il prezzo hanno voluto affittarlo già da settembre, con qualche mese di anticipo rispetto alla mia partenza. Trovata generosa accoglienza presso un amico caro, ho rapidamente traslocato e ho consegnato loro le chiavi. A poco più di 50 anni, Alberto è un baby-pensionato dell'esercito che di comune accordo con la moglie ha deciso  di lasciarsi alle spalle per un anno la loro città di origine per accompagnare la figlia adolescente a Bruxelles e consentirle di frequentare un liceo belga e imparare il francese. Nel tempo libero, hanno in mente di scoprire il Belgio e dintorni, e sembrano ansiosi di iniziare la nuova esperienza. I nostri contatti a distanza in questi mesi sono sporadici ma quasi affettuosi e quando vado a trovarli qualche giorno fa per discutere della loro ormai imminente partenza mi accolgono come un amico. Vogliono sapere di me, mi mostrano le migliorie apportate all'appartamento, mi raccontano orgogliosi dell'ottima riuscita scolastica della figlia, tra le prime della classe e ormai quasi bilingue. Anche Dolores sembra radiosa e sfoggia un francese dignitoso che deve avere imparato in questi mesi. Ascoltandoli ritrovo la carica vitale, l'ottimismo e l'apertura verso il nuovo che in loro avevo apprezzato sin da subito, e in questa loro serenità cerco inconsapevolmente di ritagliare un posticino anche per me. Con uno dei miei migliori sorrisi empatici dico che sono felice che tutto sia andato per il meglio nel mio appartamento e che spero che si godranno i mesi rimasti per fare un po' di turismo, senza più i legami della scuola. Dolores guarda in basso mentre suo marito si fa serio. Mi spiega per accenni che in realtà per loro quest'anno non è stato dei migliori, che hanno molto discusso, molto litigato e che -insomma- hanno deciso di divorziare. La mia innata propensione alla ricerca dell'ottimismo subisce un duro colpo, e poco mi consola sapere che -a quanto pare- sono stato il primo ad apprendere la notizia. Ora sembrano davvero tristi di avermela data. Lo sgretolarsi subitaneo del sorriso empatico li ha forse preoccupati. Mi alzo, ci baciamo, mi dicono che vorrebbero andarsene al più presto, dico che farò il possibile. Auguro loro buona fortuna. Mi avvio per rue Champ du roi, sempre così deserta, sotto un cielo plumbeo d'ordinanza.
Champ du roi, quando vi regnava la felicità


PS Il nido d'amore di rue Champ du roi è libero dal mese di luglio, per coloro che fossero interessati.

venerdì 25 maggio 2012

USA e Belgio/2: Come ti faccio sposare i gay



Barack
Tirato per i capelli da un'improvvida dichiarazione del Vice Presidente Biden -peraltro uso a un certo eccesso di spontaneità- in favore del matrimonio gay, Barack Obama ha dovuto rapidamente correre ai ripari. Trovata una giornalista di turno ha annunciato pubblicamente il completamento dell'evoluzione del suo pensiero in materia come segue: "A un certo punto sono arrivato alla conclusione che per me, personalmente, è importante per me procedere, e affermare che io penso che le coppie dello stesso sesso dovrebbero potersi sposare". Contenuto buono, svolgimento farraginoso: si direbbe una frase pronunciata  sui carboni ardenti, che se è valsa al Presidente un'accoglienza comunque entusiasta delle associazioni LGBT (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender), si è attirata le critiche di coloro che vedono Obama sempre un po' troppo timorato. Per il momento il Presidente si limita a a sostere a titolo personale il principio del matrimonio, e rimette la sua accettazione e eventuale regolamentazione giuridica all'evoluzione sociale e legislativa dei singoli Stati. Quest'ultima sarà lenta, in un paese in cui il tema ancora divide e provoca levate di scudi e iniziative legislative contrarie da parte di una destra religiosa minoritaria ma agguerrita, che si oppone a un'opinione pubblica sempre più nettamente a favore (53% contro 39 secondo un sondaggio recente).
Elio

Se l'innegabile valore storico della dichiarazione di Obama ha indotto Newsweek a incoronarlo 'primo Presidente gay', sul piano tecnico questo non è propriamente esatto. L'unico paese con l'Islanda in cui il titolare del potere esecutivo è apertamente gay è proprio il Belgio. Elio Di Rupo, il Primo Ministro, appartiene al filone fattosi raro di socialista non riformato e non troppo affarista, che dopo l'avvento di Hollande potrebbe tornare di moda in Europa. Di Rupo, che come figlio di immigrati italiani e esponente politico francofono sembra collezionare l'appartenenza a tutte le minoranze possibili nel suo paese, non ha mai nascosto la sua omosessualità e l'ha anzi affermata con orgoglio e rabbia quando, accusato a torto per una storia di pedofilia, gli venne rinfacciata. E comunque non sembra poter nuocere alla sua carriera in un paese come il Belgio, dove i gay sono tutelati legalmente e dove leggi in vigore da diversi anni e approvate senza soverchie divisioni o polemiche consentono alle coppie gay il matrimonio e l'adozione. Di omosessualità si parla sui giornali e in TV, le star televisive fanno coming out e "Télé Moustique", un "Sorrisi e canzoni" appena più intellettuale, la settimana scorsa si chiedeva retoricamente: "Il Belgio paradiso per i gay?". Già, forse il Belgio è un piccolissimo paradiso piovoso, e nei 14 anni in cui ci ho vissuto non me ne sono mai accorto. 

giovedì 24 maggio 2012

Usa e Belgio/1: La potenza del Belgio e la Taverna di Bruxelles

Non stenterete a crederlo: per la maggior parte degli americani il Belgio non esiste, o è tutt'al più considerato una sorta di oscura propaggine della Francia. Tuttavia, con la discrezione che gli è propria, il Paese Piatto è riuscito ad insinuarsi nella vita quotidiana dei newyorchesi, o se non altro nella loro cucina, al punto da diventare quasi di moda. Stella Artois  è pubblicizzata a tappeto nella metropolitana come una sorta di champagne belga da assaporare in un calice, e la birra prodotta 'Belgian way' è sinonimo di qualità e punto di arrivo per tanti piccoli (e talora ottimi) produttori brassicoli americani. Il 'Pain quotidien', una catena di ristoranti rustico-chic nata a Bruxelles, è talmente in sintonia con la locale ossessione per i prodotti organici e naturali che ha letteralmente invaso la città: se ne segnalano 26 a Manhattan, anche in pieno Central Park. I ristoranti tradizionali belgi non sono pochi (la migliore carbonnade si mangia a 300 metri da casa nostra) e una flotta di camioncini battenti bandiera rosso-nero-giallo fornisce gaufres e speculoos a mezza città. Una performance inaudita per un minuscolo paese vittima imminente di una disgregazione eternamente annunciata. Oppure no?

Passeggiando per Bruxelles qualche giorno fa dopo mesi di assenza ho riscoperto la ritrovata vitalità di un centro storico di cui fino a un decennio fa deploravamo l'abbandono. La Taverne Greenwich, aperta nel 1814, un tempo frequentata da Magritte e decaduta fino a diventare polveroso rifugio di un manipolo di giocatori di scacchi amanti delle vecchie rovine, fa ora bella mostra di sé dopo uno spettacolare restauro che l'ha restituita agli antichi, dorati splendori. All'interno, aspetto venti minuti che almeno uno dei camerieri scompostamente indaffarati mi degni di uno sguardo, poi si presentano in tre, sorridenti, in rapida successione.  Finiscono per servirmi due birre contemporaneamente, di marca diversa ma in perfetta sincronia, sotto gli occhi di un caposala dall'aspetto impettito e professionale che dovrebbe sovrintendere a questo artistico caos. "Poco maleuna se la beve il barista", fa il caposala, e gira sui tacchi per accogliere il prossimo cliente. Il resto del pranzo arriva subito dopo, ed è buonissimo.

Il Belgio è caratterizzato da una sostanziale efficienza avvolta in un involucro di ironico pressappochismo e indolenza. Degli Stati Uniti si potrebbe dire il contrario: la massa di regole e la standardizzazione che ne sovrintendono il funzionamento quotidiano riposano sullo spreco delle risorse, e producono un'inefficienza che solo le dimensioni e il prodigioso peso internazionale del paese riescono a far passare in secondo piano. Per ragioni opposte, in mezzo alla crisi i due paesi se la cavano meglio di altri. Il Belgio ha un debito pubblico enorme, un settore pubblico ipertrofico, una marea di giorni di vacanza e di 'ponti' di varia natura, i negozi non aprono la domenica e chiudono ogni santo giorno alle sei del pomeriggio, ha un settore bancario seriamente colpito dalla crisi e ristrutturato a caro prezzo,  il comparto manifatturiero è in declino e quello dei servizi in gran parte svenduto a gruppi esteri.  Tutti mali comuni ad altri paesi europei, se non più acuti. Eppure, i dati dicono che il Belgio evita la recessione, ed ha segnato tassi di crescita positivi persino durante una crisi di governo record lunga un anno e mezzo. Sarà grazie al fatto che il paese è piccolo, solido malgrado tutto, centrale e finanziariamente a basso rischio perché considerato indissolubilmente legato alla Germania.  Ma sarà anche, e magari soprattutto, grazie alla natura aperta e flessibile dei suoi abitanti e del suo peraltro esecrato sistema politico, alla bassa tensione sociale e un'attitudine al compromesso ineguagliabili altrove. Vista dal Belgio sornione e paffuto, sotto i soffici batuffoli di nuvole grigie che avvolgono il paese in permanenza e che sembrano isolarlo dalla periferia dell'Europa dove la crisi morde davvero, l'integrazione europea sembra quasi un progetto possibile. Se solo il resto dell'Europa fosse saggio come il vecchio Belgio...

mercoledì 23 maggio 2012

Con i piedi per terra. Pensierini sul jet lag e come combatterlo

Prima di stabilirmici a novembre 2011 i soggiorni a New York erano regolari ma brevi - di una settimana o poco più- e breve il tempo per assorbire il cambiamento di fuso orario, che si dice richieda un giorno per ogni ora di differenza (sei, nel caso di New York). Per ingannare la natura e giustificare a me stesso un ritmo che si faceva sempre meno sopportabile, decantavo la mia sedicente impermeabilità al jet lag, mentre cercavo di compensare la carenza di sonno con qualche pilloletta per dormire e molta iperattività. Dei ritorni a lavoro, direttamente dall'aeroporto in mattinata per risparmiare sui giorni di ferie dopo una breve notte insonne in classe economica, serbo un ricordo angosciante. Ancora mi risuonano in testa le voci di colleghi che la stanchezza deformava, le cui semplici domande mi martellavano il cervello come incomprensibili paradigmi. Da novembre tutto è cambiato, non ho più colleghi da deformare, svolgo duttili attività da Imbucato e posso permettermi di non combattere il jet lag. Lo assecondo, piuttosto, lasciandomi vincere dal sonno quando questo chiama, sprofondando subitaneamente nell'incoscienza e riemergendone all'alba, riducendo l'attività fino ad avere una volta per tutte la meglio sulla stanchezza. Questo per giustificare il fatto che da tre giorni giaccio acciambellato sul divano. Sfoglio i numeri arretrati di Time e del New York Magazine che si sono accumulati, apprendo con viva soddisfazione le cattive notizie sulla quotazione in Borsa di Facebook (vedi accanto), architetto i post a venire. Accanto a me, il Giornalista dedica le sue attenzioni a una moglie di uno dei figli Kennedy che si è tolta la vita rinfocolando le voci di una presunta maledizione dinastica. E mentre gli occhi si socchiudono, penso che a volte non è poi così male essere a casa con i piedi per terra.

Negli Stati Uniti non mancano i prodotti per incoraggiare il sonno quando necessario e cercare di ristabilire rapidamente il ritmo naturale. Le pasticchette celesti dal grazioso nome "Simply sleep" sono un prodotto da banco nelle farmacie/supermercato americane e, a giudicare dal loro subitaneo e drastico effetto, in Europa sarebbero vendute solo su ricetta di un primario anestesista. Ma è la rivoluzionaria acqua soporifera a suscitare l'entusiasmo dell'Imbucato. Inodore, incolore e insapore, è in vendita nelle edicole/bazar del JFK e può essere aggiunta al the di vostra suocera oppure consumata dopo il pasto del volo di ritorno verso l'Europa. Pratica ed efficace con un tocco di magia: provate l'acqua soporifera per i vostri jet lag!

martedì 22 maggio 2012

Vicinissimo al Paradiso. Pensierini sui miei voli transatlantici

La mia prima volta:
Ottobre 1992, 747 TWA Fiumicino -JFK con scalo tecnico a Milano
(per riparare l'impianto elettrico: la compagnia era già in cattive acque)


Una notte con
Alessandro Gassman su Alitalia
Nei quasi tre anni che hanno preceduto il mio arrivo in pianta stabile a New York nel novembre scorso ho fatto la traversata atlantica una volta ogni 45 giorni in media. Secondo i miei calcoli sommari devo avere volato circa 60 volte tra andate e ritorni, nella maggior parte dei casi spezzando il viaggio -e raddoppiando il numero dei voli- per risparmiare. Ho provato quasi tutte le compagnie aeree dell'aerea nord-atlantica -con l'aggiunta di una compagnia indiana che per oscure ragioni fa scalo a Bruxelles - per approfittare delle migliori offerte e spesso solo per variare un po'. Ho imprecato contro il servizio da penitenziario delle compagnie americane e l'età avanzata del loro depresso personale di bordo e dei loro aerei, e esultato quando la peggiore di tutte, American, si è decisa ad avviare la procedura fallimentare. Mi sono affezionato al tragitto via Montreal con Air Canada, che delle nord-americane è di gran lunga la migliore nonché l'unica a offrire una cineteca d'essai di prim'ordine. Ho effettuato analisi comparate dei pasti offerti da British e da Lufthansa e sono arrivato alla conclusione che Swiss le batte tutte. Ho scelto Air France per provare il nuovo Airbus gigante e Alitalia per praticità, constatando tuttavia con una punta di nazionalistico compiacimento che la discussa privatizzazione ha se non altro inaspettatamente prodotto una compagnia di buon livello europeo.

Sempre, comunque, ho assaporato con voluttà quelle 8 ore sospeso nel vuoto in cabina pressurizzata, lanciato verso l'America;  un regalo di 6 ore di vita in più durante le quali leggere, sognare, pensare, dormire, guardare i film che mi ero perso, fare il punto.

Quando poi va come l'ultima volta, davvero uno si sente in pace col mondo. Alla signorina del gate KLM che mi comunicava che il mio posto era stato cambiato, ho risposto piccato che non intendevo rinunciare all'uscita di sicurezza, obiettivo agognato e spesso irraggiungibile di chi viaggia in economica. Quella mi ha guardato con compassione, e ha sibilato: "Business class, upper deck". L'Upper deck è la punta del nasone del Boeing 747, il Jumbo Jet inventato negli anni '60 e tuttora imperatore dei cieli, è vicinissimo al Paradiso, è l'epicentro della leggenda aeronautica che nessun Airbus gigante riuscirà mai a eguagliare, è il luogo in cui una olandese premurosa in uniforme azzurro fosforescente che sembra uscita da un film di Antonioni ti chiama per nome, ti irrora di champagne, ti serve piatti elaborati da un celebre chef, ti sorride complice e materna. E quando vetusto e leggiadro il leggendario bestione si posa come una piuma sulla pista del JFK vorresti continuare a volare lì dentro per sempre, e non scendere mai.

Nella punta del nasone
Vetusto e leggiadro



giovedì 10 maggio 2012

La fine del semestre


Il semestre della Prestigiosa Università nell'Upper West Side si chiude questa settimana tra discorsi, fanfare e lanci di tocchi (rigorosamente celesti) per aria. Obama in persona, prestigioso laureato della Prestigiosa, farà la sua comparsa in un college unicamente femminile, a sottolineare il suo sostegno alla Causa e a uno dei serbatoi elettorali che più gli sono necessari per la vittoria in novembre.
Un altro, quello degli omosessuali, che gli garantiscono, si dice, un sesto dei finanziamenti elettorali, il Presidente ha deciso di sostenerlo appoggiando pubblicamente la causa dei matrimoni gay. Una posizione rivoluzionaria, e un calcolo elettorale che presenta forse rischi limitati, poiché più della metà degli americani li sostiene o se ne disinteressa.


L'Imbucato festeggia questo inizio col botto della campagna elettorale concedendosi due settimane di riposo nella terra natia, nella Repubblica libera del Pane Carasau. E data la scarsa disponibilità in loco dei mezzi tecnologici necessari a fare questo blog, l'appuntamento è per la seconda metà di maggio, al ritorno a New York. Un saluto a tutti.