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mercoledì 26 settembre 2012

Romney, la stampa e i finestrini: la prevalenza dei cretini?

Forse vi sarà capitato di leggere che lo scorso week-end l'aereo su cui viaggiava Ann Romney, la moglie del Candidato, si è riempito di fumo e ha dovuto effettuare un atterraggio di emergenza. Riguardo a questa poco gradevole esperienza, dalla quale è uscita incolume, la Signora è rimasta inizialmente piuttosto discreta. Ma ha poi finito per cedere alla tentazione di andarla a raccontare in televisione, con l'intento di muovere a compassione gli elettori indecisi. Quanto al marito, ne ha parlato brevemente durante un incontro elettorale, cogliendo l'occasione per prodursi in una di quelle sue battute da tardo adolescente mattacchione del midwest che lasciano inevitabilmente interdetta la sofisticata stampa liberal metropolitana. "Non riesco a capire perché in aereo in caso di incendio non si possano aprire i finestrini per fare uscire il fumo. È un vero problema." I siti di informazione sono saltati sull'occasione ghiotta di sbeffeggiare l'"ennesima gaffe di Romney", seguiti a valanga dalle consuete gustose parodie del 'popolo del Web' e degli scandalizzati umoristi progressisti in TV. La maggior parte dei siti, tra cui spiccano quelli italiani, incontrastati maestri del taglia/incolla/traduci/infiorisci, non si sono presi la briga di controllare la notizia, dando per scontato che il Candidato conservatore sia un cretino. Alcuni, pur considerando questa ipotesi altamente probabile, hanno fatto propri gli alti principi etici del giornalismo anglosassone, e hanno dato un colpo di telefono a chi aveva partecipato all'evento. Ne è venuto fuori che si trattava di una battuta, che i presenti avevano onorato con una risata di cortesia. Ora, nessuno può davvero pensare in buona fede che Mitt Romney, che ha 65 anni, una carriera da top manager alle spalle e che ha accumulato più ore di volo di me e voi messi insieme, non stesse scherzando e che non sappia che aprendo i finestrini ad alta quota si rischia la catastrofe. È vero che Romney ci sta mettendo del suo per farsi assimilare a Gaston Lagaffe. Ma sebbene sia indubbiamente scarso come umorista e modesto come  Candidato, non ci risulta sia un cretino. E sottovalutare il proprio avversario non ha mai portato bene ai progressisti, specie quando sentono profumo di vittoria e incominciano a montarsi un po' la testa. Chiedete a W. Bush, il cretino per eccellenza. 

Lapsus freudiano

Per dovere di incoerenza, non ci sottrarremo certo al piacere di farci beffe del Candidato repubblicano, grazie a questa foto, più divertente della bufala dei finestrini, segnalataci da un affezionato lettore.
Intento a comporre il suo cognome con l'ausilio di alcuni malcapitati minorenni che sospettiamo abbia pescato nell'inesauribile serbatoio dei nipotini, Romney non si accorge di stare invece magnificando il vero incontrastato protagonista della sua campagna.

mercoledì 19 settembre 2012

Mitt e l'altra metà dell'America: come scavarsi la fossa da solo

Fine estate a New York: l'Imbucato di ritorno ripassa i video
della Convenzione nella selva del giardino pensile
L'Imbucato è di ritorno dopo una breve vacanza in Europa. Ritrova una New York affrancatasi dalla cappa di afa che l'attanagliava alla partenza, e ormai avvolta in una luce obliqua e un languido tepore da fine stagione. E ritrova l'amata campagna presidenziale, che si è lasciata alle spalle il caldo torrido e i temporali tropicali delle Convention di fine agosto per imboccare la fase finale degli ultimi 48 giorni. 

Nell'ultimo post avevamo lasciato Mitt Romney raggiante in un tripudio di palloncini colorati. Lo ritroviamo venti giorni dopo ad arrancare come mai prima, con sondaggi che già sembrano condannarlo, afflitto da una sorta di inerzia afasica interrotta soltanto da ricorrenti, colossali brutte figure. Al punto che la maggior parte dei blogger politici e degli occhiuti osservatori professionali della campagna gli stanno già inscenando un funerale anticipato con il rito solenne dovuto al suo rango. Chi segue questo sito sa che la sua stella non ha mai davvero brillato. Ma nella seconda metà di agosto,  grazie alla scelta di un Vice-Presidente giovane e volitivo, e con il perdurare di una situazione a dir poco insoddisfacente sul piano economico, l'irrimediabilmente poco carismatico Romney era riuscito a sembrare competitivo. I veri guai sono cominciati con lo scadente spettacolo della Convention, il cui impatto sugli elettori è stato trascurabile, e comunque inferiore a quello della gemella democratica (a cui l'Imbucato ha preferito il mare di Sardegna) che si è svolta la settimana successiva. Ugualmente intrisa di lacrime, inni e buoni sentimenti a uso del pubblico televisivo, ha tuttavia surclassato quella repubblicana proponendo un po' più di contenuti o se non altro di passione, un partito solidale e unito intorno al proprio candidato, e alcuni discorsi ispirati, fra i quali è emerso quello dell'uomo politico più popolare del paese, Bill Clinton, che gigioneggiando con la consueta abilità ha saputo efficacemente farsi beffe del programma repubblicano (se avete tempo, godetevi il più grande ex-Presidente vivente, ma sappiate che non ha il dono della sintesi: il discorso dura 50 minuti!).


Obama ne ha tratto beneficio nei sondaggi, e ha cominciato a distanziare il rivale non solo sul piano nazionale, ma soprattutto, e in maniera più marcata, nei 7-8 Stati in cui la battaglia elettorale è più incerta e in cui i risultati saranno decisivi. Fra di essi, Obama si aggiudicherebbe oggi facilmente i principali serbatoi di voti, l'Ohio e la Florida, in cui peraltro la situazione economica comincia ad apparire meno negativa di quanto la dipinga il candidato repubblicano. Al profilarsi di una debacle  sempre temuta ma tutt'altro che scontata il nervosismo comincia a serpeggiare nelle fila del partito: le voci di coloro che reclamano un rimpasto nel team che gestisce la campagna si sono fatte più insistenti, mentre molti rimproverano a Romney di non essere sufficientemente incisivo né propositivo e di aver messo un "calzino in bocca" all'aspirante Vice-Presidente Ryan, l'unico che sembrasse essere portatore di proposte concrete per quanto poco popolari, e che ha invece dovuto adeguarsi ai vuoti slogan anti-Obama di cui Romney ha fatto il sale della sua campagna.
Cliccate qui per godervi gli estratti con sottotitoli del video clandestino
Ma più che dai compagni di partito, Romney farebbe bene e guardarsi le spalle da se stesso. Già noto per la sua tendenza, poco invidiabile per un politico, ad esprimersi con parole  poco opportune nei momenti meno indicati, nelle ultime settimane non ci ha risparmiato esempi della sua imperizia. In politica estera, che il fallimentare viaggio di quest'estate ha dimostrato non essere il suo terreno prediletto, Romney ha cercato di sfruttare a proprio vantaggio gli attacchi contro le ambasciate americane nei paesi arabi criticando l'atteggiamento rinunciatario dell'Amministrazione rispetto ai sommovimenti nella regione. Peccato l'abbia fatto nel momento stesso in cui il paese apprendeva la morte dell'ambasciatore a Tripoli e di altri connazionali, mostrandosi così una volta di più insensibile e prestando il fianco alle critiche: "Romney è uno che prima spara e poi prende la mira", l'ha liquidato Obama. Ancora più grave è stato l'apparire su Internet di un filmato ripreso clandestinamente durante una di quelle riunioni a porte chiuse di ricchi finanziatori del partito alle quali Romney si è dedicato in questi mesi con particolare impegno e innegabile successo. Nel video lo si sente dichiarare senza esitazioni che il 47% degli americani sono irrecuperabili assistiti che non guadagnano nemmeno abbastanza per pagare le tasse, e che considerano loro insindacabile diritto quello di vivere alle spalle dello Stato. Di questi scioperati Romney sostiene di non doversi interessare, poiché convincerli a prendere in mano il loro destino sarebbe impresa per lui insormontabile. È questa patente dimostrazione di lucida insensibilità e insofferenza nei confronti di metà dei suoi connazionali che ha dato la stura alle campane a morto che commentatori di ogni tendenza hanno cominciato a far suonare per un Candidato che non solo non prende la mira ma si spara pure sui piedi.
Si tranquillizzino dunque per il momento gli amici in Europa atterriti dalla prospettiva di una vittoria del candidato di destra che minaccerebbe di riportarci ai tempi di W. Bush, lo spauracchio che nessun repubblicano si sogna oggi di evocare ma che è ben presente nella nostra memoria. Ma se almeno per il momento l'ipotesi sembra poco probabile, tenete conto che alle elezioni mancano ancora 48 lunghi giorni...
La strana coppia

sabato 1 settembre 2012

Dal Vostro Imbucato alla Convention repubblicana


Non credete all'Imbucato!





Tampa non deve mancare di estimatori: non ultimi i turisti congressuali, i crocieristi di passaggio e i pensionati del Settentrione americano che hanno trovato qua il loro buen retiro. Per quanto mi riguarda, dopo averne tentato la scoperta, ho deciso che preferisco osservarla dalla vetrata dell'appartamento che ci ha affittato un manager di nostra conoscenza; c'è tutto quel che può desiderare un dinamico uomo di mezz'età come il sottoscritto: gli estenuanti mobili di design minimalista italiano, l'isola cucina col piano in marmo, la macchina Nespresso cromata, gli schermi piatti, l'enorme specchio accanto al letto, le riviste maschili su come rimpolpare i bicipiti. E poi, da qui si domina la skyline della città (i cui grattacieli, costruiti durante il boom immobiliare degli anni '80 e dall'aspetto precocemente incongruo,  fanno miglior figura da lontano), e il colossale Palazzo dello Sport che ospita la Convention. È ai nostri piedi che inizia la zona di sicurezza vietata alla circolazione e ai non addetti, che ha fatto di downtown una gigantesca terra di nessuno protetta da blocchi di cemento armato, pattugliata notte e giorno da squadriglie a piedi e a cavallo di poliziotti locali che indossano poco rassicuranti uniformi da miliziani. La città, in stato d'assedio, è spettrale, e non sembra entusiasta della Convention malgrado i cartelli di benvenuto onnipresenti: chi ha un esercizio in centro ha dovuto chiudere bottega per una settimana senza compensazione. Ai margini della zona vietata sparuti gruppi di attivisti brandiscono cartelli disparati, ma riconducibili essenzialmente a gruppi oltranzisti religiosi ferocemente antiabortisti e omofobi: ci invitano a gola spiegata a scegliere Gesù e non Obama. Con l’avvicinarsi dell’ora serale d’inizio della kermesse, il brulicare intorno alle porte girevoli dei grandi hotel del centro si fa più intenso. I partecipanti più in vista, con indosso grisaglie costose ma troppo abbondanti e corte di pantalone come vuole l’uso americano, si espongono al caldo umido per qualche secondo: si aggiustano al collo i badge esclusivi e si tuffano nelle limousine. Le truppe d’appoggio del partito, arrivate da ogni angolo d’America per fare colore e riempire gli spalti, hanno lasciato gli oscuri motel loro assegnati e convergono da più di un’ora verso il Palazzo dello Sport a bordo di interminabili colonne di pullman. Anche l’Imbucato ha lasciato il suo pied-à-terre da scapolo per dirigersi verso la Convention: ha rimediato un vero pass da giornalista, che gli apre le porte del settore 326, sesto e ultimo livello dietro il palco, vista a picco sulle formichine che vi si avvicendano.




Oggi è la giornata finale, e in attesa del discorso in cui Mitt Romney, come da tradizione, accetterà la candidatura a Presidente degli Stati Uniti, gli organizzatori hanno deciso di farci meglio conoscere la sua vita carica di successi ma non poco soporifera. Ci scopriamo a rimpiangere il discorso teso e ispirato di ieri di Condoleezza Rice, con cui dicono abbia messo un’ipoteca su future corse alla Casa Bianca, o quello abile e applauditissimo ma inevitabilmente più opportunistico e fazioso del Candidato alla Vice Presidenza Paul Ryan. Oggi ci tocca ascoltare pastori mormoni, contabili, manager, sportivi incolti, vicini di casa e un giovane Romney (il figlio Bisteccone più giovane e fotogenico) che sfilano sul palco per raccontarci episodi di vita vissuta accanto al futuro Candidato o per esaltarne il ruolo edificante nel contesto di vicende strappalacrime e vite dolorose di cui abbiamo rapidamente dimenticato i dettagli. Mentre la folla applaude cortesemente e fa finta di commuoversi, accanto a me i cronisti semiaddormentati risparmiano le tastiere dei computer. 

Romney, palloncini e bistecconi
E infine Romney: dopo aver fatto irruzione nella sala al suono assordante dell’energica ballata country che predilige, insiste anche lui con qualche successo nel tentativo di dare di sé l’immagine di un uomo dotato di un cuore, capace di provare compassione per la categoria della gente comune a cui non è mai appartenuto. Poi, con accenti quasi accorati e con certo minore arroganza rispetto al suo Vicepresidente si rammarica quasi del fallimento della Presidenza Obama in cui molti Americani hanno creduto, per presentarsi come colui che dando sfogo allle forze vive dello spirito imprenditoriale americano saprà liberare il paese dall’onnipresenza dello Stato per ripristinarne la crescita economica e il pieno impiego. Sebbene la sua arte oratoria rimanga poco più che mediocre, Romney appare più sereno e meno legnoso rispetto all’inizio della campagna, sollevato forse di essere almeno riuscito laddove il padre, il carismatico governatore del Michigan negli anni 60, aveva fallito: farsi candidare alla Presidenza. Quanto a diventare Presidente, bisognerà convincere la maggioranza degli Americani. E mentre migliaia di palloncini tricolori invadono la sala, il pubblico repubblicano presente applaude e sembra già convinto: non è poco, per un Candidato che durante le primarie non è mai riuscito a farsi amare. Sul palco, Mitt sorride mentre decine di figli, cognate e nipotini inseguono i palloncini colorati.

Quasi più che l’uragano, a creare scompiglio nell’oliata macchina della Convention è stata la comparsata da parte del divo Eastwood. Quando i grandi network si sono sintonizzati in diretta,  il grazioso documentario promozionale sulla famiglia di Mitt era appena sfumato, e gli Americani si sono trovati di fronte nonno Clint. In stato confusionale, biascicava frasi non intellegibili rivolto ad una sedia vuota su cui sosteneva fosse seduto il Presidente degli Stati Uniti, cui prestava battute gratuitamente triviali e non proprio esilaranti. La sua  lunga e slabbrata esibizione a braccio, che ha prodotto migliaia di reazioni sarcastiche a catena via Internet e fiumi di inchiostro il giorno dopo, ha reso discutibile servizio a Mitt, di cui ha finito per oscurare nell'attenzione pubblica il discorso. Chi ne ha voluto la partecipazione annunciandola all'ultimo istante come un colpo da maestro fa buon viso, anche se si sa che Eastwood, tra i pochi grandi di Hollywood a professarsi pubblicamente repubblicano, non è uomo prevedibile: sindaco indipendente per alcuni anni della cittadina di Carmel in California, ha appoggiato molti candidati repubblicani ma si è sempre proclamato liberale sui temi sociali. Quest’anno la sua partecipazione a uno spot per la Chrysler, salvata dal fallimento grazie alle politiche federali, ha fatto pensare a molti che intendesse dare la chance di un secondo mandato a Obama. Il suo attacco scomposto nei confronti del Presidente voleva forse ricordare la sua indipendenza di giudizio a chi gli aveva attribuito intenzioni non sue. Ci ha invece ricordato che il tempo passa per tutti, e che non di rado offusca il pensiero: anche al Mitico Clint. Come del resto alcuni dei suoi più recenti film già mi avevano portato a pensare.