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giovedì 19 aprile 2012

Il nostro caro Bill e il mio bambino

Dopo avervi presentato Simon Z. (a cui, vi rassicuro, ho risposto con un cortese messaggio di ringraziamento di due righe), un piccolo omaggio personale al tizio al quale si accompagna: William Jefferson Clinton, detto Bill, 42mo Presidente degli Stati Uniti dal 1993 al 2001. Portatore del primo progetto di svolta progressista dopo gli anni della deregulation ideologica reaganiana, osteggiato da una destra incattivita capeggiata da Newt Gingrich che lo demonizzò e lo mise in stato d'accusa per ragioni pretestuose ed essenzialmente politiche, Clinton gode oggi di tassi di popolarità altissimi, e nei sondaggi figura tra i grandi presidenti degli Stati Uniti. Difficile pensare che lo sia stato davvero: gestì un lungo periodo di pace ed espansione economica ma gli mancò il coraggio della rottura, mentre sul piano personale la sua eccessiva disinvoltura non era meritevole di impeachment ma non fece onore né a sé né al paese.  Di certo è considerato oggi una sorta di Padre della Patria e l'icona del Partito democratico, e non ha perso un'oncia del suo enorme carisma di uomo del Sud in sintonia con la gente comune. Io e il Giornalista ne siamo stati vittime fin dall'elezione nel 1992, e dal giuramento nel gennaio seguente, cui il giovane Imbucato partecipò confuso tra la folla nel gelo di Washington. Il Giornalista ne ha poi incrociato il cammino più volte, occasionalmente con Imbucato al seguito. La foto sopra a destra è stata fatta nel 2010, nel paesello lungo l'Hudson in cui la figlia Chelsea si produsse in un matrimonio ultramondano, militarizzato e inaccessibile. Con Clinton che non seppe però esimersi dal materializzarsi da "Gigi Osteria", in maglietta, per festeggiare con la gente comune e tuffarsi in uno di quei bagni di folla che lo mandano in visibilio. L'ultimo esempio a cui abbiamo assistito? All'uscita da un ristorante chic dell'Upper East Side in cui il Giornalista aveva appena finito di intervistarlo e dove l'Imbucato, più per stanca curiosità che per vera adulazione lo aspettava, mantenendosi a debita distanza. Ma non aveva fatto i conti con l'insopprimibile istinto da animale politico dell'ex-Presidente. Il quale, uscito con fare festoso dal ristorante, si lanciò con ingordigia sugli scarsi passanti e ammiratori, afferrando loro le mani. Poi, dopo aver stretto anche la mia, ha pensato di farmi cosa gradita abbrancando un bambino a caso, chinandosi amorevolmente verso di lui e sorridendo verso di me. Credendo fossi il papà. Stordito, ho fatto la foto, in buona parte per non deludere il vecchio Bill. Un secondo dopo era scomparso nel macchinone della scorta. Ed eccola qui, la foto: il nostro amico Bill con il mio -presunto- figliolo, peraltro anche credibile come tale. Chissà se il vero papà, probabilmente un informatico di Bangalore di passaggio a New York, si sta ancora mangiando le mani. 



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