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martedì 17 aprile 2012

La mia amica Julie, o della Solitudine a New York

In assenza del Giornalista, impegnato per una settimana in un reportage sull'oro nero nelle terre di Fargo e ora suo malgrado di ritorno in Europa per ragioni familiari, la ragion d'essere dell'Imbucato in terra americana entra un po' in sofferenza. 
La mia amica Julie

Ma per fortuna che c'è New York: stamattina al risveglio, solitario e poco entusiasta, c'erano 20 gradi, ma si sentiva già che il termometro sarebbe salito sino a 32, vicino al record del 1992 di cui serba memoria il New York Times. Un'atmosfera sospesa, e un odore nell'aria di caldo e di fiori, da vacanza tropicale, appena fuori contesto. Sulla 87ma, la nostra strada, la solita attività fluida, ma più indolente del solito. Mamme e balie a spasso,  facchini che scaricano consegne, il corriere del DHL, chi ridipinge il balcone, chi prende il sole nella loggia condominiale chiacchierando animatamente al Blackberry. È facile lasciarsi prendere dall'attivismo indolente di New York. Una doccia, un salto nella metro deserta sino a Prospect Park a Brooklyn, il gemello di Central Park, tanto più bello e incantato perché tanto più trascurato. E dopo una salutare passeggiata lungo il lago e gli edifici storici del parco e dello zoo, chiusi in attesa del week-end, mi fermo per un pranzo tardivo a base di Cobb Salad al bancone. Accanto a me Julie non ci mette molto a chiedermi di me e del mio accento. Mentre sorseggia qualche Vodka orange pomeridiano mi racconta del Texas dove ha passato la gran parte della sua vita, sesta di sette figli, figlia di genitori neri e illuminati che si sono creati una carriera rispettabile malgrado il razzismo allora imperante, e hanno spinto i figli a fare altrettanto. Julie fu mandata in Bretagna a imparare il francese, che ancora mastica con civetteria, e ad aprirsi verso il mondo. Bastò per farle abbandonare ogni precedente velleità di diventare cameriera in un hamburger restaurant, per instradarla a degli studi giuridici di base, e per farla sentire stretta nella realtà provinciale e ottusa del Texas, su cui ancora gravano il razzismo strisciante e la segregazione che ogni comunità spesso tende a autoimporsi. Ha viaggiato un po', ma da un anno e mezzo è approdata a New York. Il buon contratto offertole inizialmente ha avuto vita breve, ma ha avuto il merito di farle scoprire una vita diversa nella grande metropoli che non può permettersi di essere razzista con nessuna delle mille comunità che la compongono. Julie ha affittato casa in Texas, e cerca di sfruttare la propria esperienza ventennale di assistente in uno studio legale per costruirsi una carriera da consulente a New York. Sul piano sentimentale, a 51 anni si sente pienamente realizzata. Anche se, ammette, non è sempre facile gestire la sua storia con Tony, un imprenditore benestante italo-americano, tenero e dalla gran pancia che bisogna saper manovrare nelle occasioni intime, con la torrida relazione sessuale che intrattiene con il giovane egiziano che gestisce il carrellino del kebab dell'angolo. E mentre ci abbracciamo per salutarci e le faccio gli auguri per la sua nuova vita, mi dico che poiché a New York tutti in fondo sono soli, sentirsi soli è semplicemente impensabile.

La metro a Brooklyn, un giorno di solleone
Architettura incantata a Prospect Park 
  


3 commenti:

  1. Bella immagine di NY e deliziosa descrizione della deliziosa Julie (Julie VS Simon Z quattrazeroepallalcentro) ..... per quanto noti che la riservatezza non sia tre le virtù più praticate in quelle accaldate lande (e non solo per il clima). GB

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  2. Grazie! Accaldata lo era di sicuro, e l'Imbucato ha verificato per voi l'aspetto del venditore di kebab. Con Julie farebbero di sicuro un'ottima coppia, ma il conto in banca di Tony il pancione temo farà la differenza. Un pizzico di interesse c'è anche qui, come per Simon Z., ma come biasimarla?

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  3. Avresti potuto scrivere che l'egizio vendeva salsicce, aggiungendo un simpatico tocco di pecoreccio alla Alvaro Vitali che finora, purtroppo, è crudelmente assente dal blog

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