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mercoledì 13 giugno 2012

Street art o vandalismo: Keith Haring e gli altri

Un caro lettore, a cui a suo tempo piovve addosso l'incarico di liberare le strade di Cagliari dalle scritte e i disegni che le imbrattavano, si pronuncia a favore di una distinzione tra vera espressione artistica di strada e mediocre vandalismo. Come esempio della prima categoria ci invia la foto di una delle "balene-u boot" che è facile ritrovare su molti muri della città. Opere di un ormai affermato graffitaro, le balene sono graziose, e ormai accettate cittadine onorarie, tanto più che grazie a una sorta di codice deontologico dell'autore appaiono essenzialmente in luoghi defilati bisognosi di essere abbelliti. Il nostro lettore va oltre, e sogna la creazione di un laboratorio artistico urbano attarverso il quale le autorità municipali possano riservare degli spazi alla libera espressione degli artisti di strada. Diverso trattamento, supponiamo, riserverebbe alle tags che deturpano gli spazi pubblici, spesso nelle zone di maggior pregio storico. La distinzione tra le due categorie è tuttavia a volte sottile, e l'esempio di New York, che alla street art moderna ha dato i natali, può forse orientarci.


Una mostra al Brooklyn Museum (sino all'8 luglio) dedicata agli inizi della carriera di Keith Haring, che della street art newyorchese degli anni '70/'80 è stato uno dei più noti epigoni, capita a proposito. La mostra ci accompagna lungo i primi quattro anni di attività di Haring: dal 1978 -quando giovanissimo si immerse nella palpitante vita da artista di strada della New York dell'epoca- fino al 1982, quando espose per la prima volta in una galleria, dando avvio alla sua carriera artistica in senso stretto. In quei primi anni si esprimeva con la video arte ma soprattutto con i graffiti nelle stazioni della metropolitana, di cui decorava con il gesso i pannelli neri adibiti all'affissione dei manifesti pubblicitari. Poco ci è pervenuto di quei graffiti originali: qualche foto e pochi pannelli oggi esposti alla mostra, sfuggiti agli intenti repressivi della polizia alla quale Haring cercava di sottrarsi non sempre con successo. Sappiamo però che gli elementi decorativi che usava all'epoca erano già i pupazzetti, astronavi e cagnetti in movimento che sarebbero confluiti nelle sue opere più mature. L'esempio di Haring é quello, forse non troppo comune, di un artista di strada che salì sugli altari dell'arte maggiore, - o forse semplicemente seppe da essa farsi accettare- riuscendo nel contempo a fare assurgere il proprio linguaggio visivo a riconoscibile elemento iconografico pop.

La vitalità culturale e artistica della New York ripulita e imborghesita di oggi ha poco a che vedere con quella dell'epoca, e l'arte di strada, quando esiste, assume oggi un aspetto assai poco spontaneo, con qualche probabile eccezione nei quartieri industriali di Brooklyn non ancora completamente preda del mercato immobiliare. A Manhattan alcuni murales occupano intere facciate, ma sono per lo più frutto di commesse di società di comunicazione o dell'immancabile stilista affamato di pubblicità. Quanto alle scritte vandalistiche selvagge sui muri o i mezzi di trasporto, sembra che la città abbia imparato  a difendersene meglio rispetto per esempio alle città italiane: la desolante devastazione dei vagoni della metropolitana di Roma, ad esempio, sarebbe semplicemente impensabile oggi in quella di New York. La battaglia degli anni '80 e '90 contro i graffiti che sfiguravano i vagoni ha portato a una legislazione repressiva efficace (ad esempio la detenzione e uso di bombolette di vernice è vietata ai minori di 18 anni) e un'efficiente opera di prevenzione e pulizia dei treni (maggiori controlli ai depositi; i treni coperti da graffiti sono stati sostituiti da altri coperti da una pellicola trasparente amovibile). Ma più di tutto è progressivamente scemato l'interesse da parte degli stessi taggers, che sembrano avere trovato migliore occupazione. Il futuro dei graffiti moderni visto da New York, che li ha inventati, sembra quello di una serena scomparsa o di un dolce, mellifluo addomesticamento.

A passeggio con Ivo e Julien, gli amici belgolandesi che ci hanno fatto visita di recente, per i Luoghi Sacri nel West Village che hanno visto affermarsi la lotta per l'emancipazione del movimento omosessuale abbiamo scoperto il testamento segreto di Keith Haring. Si tratta di un grande affresco, sconosciuto ai più e recentemente riscoperto grazie alla mostra del Brooklyn Museum, che Haring dipinse sulle pareti dei bagni -oggi trasformati in sala riunioni- del Gay Community Center del West Village. Gli abituali omini di Haring qua si intrecciano, si baciano, si penetrano, cavalcano enormi organi sessuali stilizzati in un'apoteosi erotica che sembra un inno a quel vitalismo sfrenato, anche e forse soprattutto sessuale, da cui Haring si fece catturare a New York, da cui trasse la sua ispirazione e che continuò a celebrare sino alla fine. La data in basso, poco sopra le piastrelle bianche, indica che Keith Haring terminò la sua opera nel maggio del 1989. Morì di AIDS nove mesi dopo,  il 16 febbraio 1990 a 32 anni. 

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