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giovedì 29 novembre 2012

America, un anno dopo...

 November 2011- November 2012

...Un commosso ricordo a fine campagna

La vittoria di Obama, sancita dalla NBC con un anticipo di qualche minuto sulla rivale CNN, ha fatto calare definitivamente il sipario su una campagna elettorale lunga più di dodici mesi. Un anno di democrazia-spettacolo a base di seri dibattiti sui destini della nazione, spese insensate da parte dei candidati e sovraeccitazione mediatica. Tempo appena qualche giorno, e anche il ruscello residuo delle analisi dei risultati e dei flussi elettorali si è inaridito. Nel silenzio improvviso, mentre gli operai smontavano le scenografie, i corrispondenti esteri fissavano il vuoto attoniti, già rimpiangendo questa epopea adrenalinica sovraccarica di significati storici cui forse mai più avranno l'occasione di partecipare.


I due principali protagonisti hanno accolto la Fine delle Operazioni con un aplomb impensabile dalle nostre parti. Dopo aver festeggiato la vittoria con un discorso dall'afflato retorico-epico che ci riserva ormai quasi meccanicamente per i momenti importanti, Obama si è concesso appena il lusso di versare qualche lacrimuccia davanti ai volontari che gli hanno facilitato la rielezione, prima di riguadagnare Washington. Riapparso una settimana più tardi nella prima conferenza stampa da Presidente-rieletto, ha rispolverato i consueti abiti professorali e discusso di deficit di bilancio, senza far parola di una vittoria che molti considerano storica. Di Romney non si è più sentito parlare. La satira lo dipinge affranto, nella sua magione del New England più imponente della Casa Bianca, intento ad annegare nel latte il suo scoramento (da buon mormone, Mitt è astemio dalla nascita). Quel che si sa è che, reduce da una sconfitta che potrebbe segnare le sorti del suo partito per una generazione, ben più netta di quanto si aspettassero i sondaggisti seri e a maggior ragione lui, che, ci dicono, nella vittoria ha creduto sino all'ultimo, ha accettato di aver perso con dignità, con un discorso breve in cui abbondavano gli auguri al vincitore. Ha poi voltato le spalle a una sala ormai semivuota ed ed è tornato a casa con la sua macchina, non potendo più contare sulla protezione dei servizi segreti. Come nella migliore tradizione della politica americana è uscito dalla porta di servizio per avviarsi all'oblio della vita pubblica.

Romney e l'ombra di Kennedy, Nashua, novembre 2011
Sul piano personale, l'autore di questo blog si strugge al ricordo del primo incontro con Mitt, in un bigio pomeriggio del novembre 2011 che avrebbe dato inizio alla loro repentina carriera, rispettivamente di Imbucato e Candidato alla Casa Bianca. Nella piazza del Municipio di Nashua, nel minuscolo New Hampshire, oscura località che con scarso merito proprio sarebbe assurta agli onori della campagna in quanto città principale di uno degli 8 Stati contesi, l'incerto Mitt concionava un manipolo raccogliticcio all'ombra di un busto del conterraneo John Kennedy. Fu l'inizio di una lunga cavalcata comune attraverso gli alti e i bassi delle primarie;  il trionfo alla seppur sgangherata Convention a Tampa; la nostra lunga estate calda, popolata di gaffe che hanno scolpito nell'opinione pubblica l'immagine di un distratto milionario lontano anni luce dalle persone comuni; e infine le più felici prestazioni durante i dibattiti con Obama, con le quali Romney ha nutrito la fugace illusione di poter imprimere una sterzata alla campagna.

Se così non è stato, l'Imbucato, che ha seguito le vicissitudini di Romney per meglio convincersi dell'ineluttabilità della  vittoria del rivale, non può che rallegrarsi. Resta il rispetto per un Candidato in buona fede ma irrimediabilmente troppo ricco e troppo poco consapevole degli oneri che ciò dovrebbe comportare per imporsi in una società complessa e impoverita come quella americana odierna. Nel congedarci definitivamente da lui vogliamo però dimostrarvi che anche Mitt ha un cuore.  In questa foto del 1968, all'epoca in cui cercava di far proseliti in Francia per la chiesa mormone, il giovane Mitt si struggeva d'amore per Ann, che avrebbe sposato l'anno dopo. A quasi cinquant'anni dal primo incontro i due formano ancora una bella coppia di ricchi sessantenni visibilmente innamorati, in una maniera graziosa e un po' démodé (mentre gli Obama, a onor del vero, a miei occhi esprimono l'immagine di una di quelle coppie pubbliche il cui nutrimento deriva anche dall'esercizio del potere).
Coraggio, Mitt, l'importante è che ci sia l'amore...

martedì 27 novembre 2012

Da Benjamin ai nostri giorni: la prevalenza del Tacchino

È tradizione che a fine novembre gli americani si accalchino nei supermercati per aggiudicarsi la loro annuale vittima sacrificale da condividere con amici e parenti il giorno del Ringraziamento. Nella maggior parte dei casi la scelta cade sul tacchino, pennuto autoctono del Nuovo Continente che occupa un posto talmente importante nell'iconografia statunitense che su pressione di Benjamin Franklin per poco non fu scelto come simbolo del paese al posto dell'aquila di mare. All'epoca in cui i puritani del Mayflower nel 1621 ne divisero le carni con la tribù del capo indiano Massasoit dando inizio alla tradizione del Ringraziamento milioni di tacchini scorrazzavano liberi per le foresteE anche oggi che sono sfornati da impietose catene di montaggio avicole in imballaggi atti a preservarne le caratteristiche organolettiche, gli americani continuano ad apprezzarli. Solo per il giorno del Ringraziamento, si calcola che ogni anno ne vengano macellati 45 milioni. Tuttavia, due all'anno riescono a salvarsi, grazie al Potere di Grazia del Tacchino informalmente attribuito al Presidente degli Stati Uniti. Scelti ogni anno sulla base di una accurata selezione dalla lobby dei produttori di tacchini, i due fortunati esemplari acquistano il diritto di passare una notte nella suite di un prestigioso albergo della capitale per essere poi ammessi al cospetto del Presidente, che durante una solenne cerimonia pubblica impartisce loro il diritto di morire di morte naturale in un lussuoso allevamento in Virginia. Se questo rituale farsesco sembra a prima vista coniugare le caratteristiche tutte americane dell'amore per lo spettacolo e del radicato attaccamento alle tradizioni, il Washington Post non ne è convinto, e in un gustoso articolo reclama l'abolizione dell'incongrua buffonata, che distoglie l'Uomo più potente della Terra da occupazioni più serie, squalificandolo agli occhi della comunità internazionale. Quel che più preoccupa in questa faccenda è che a istituzionalizzare la pratica della Grazia non sia stato un venerando Padre della Patria ma bensì il meno rispettabile George W. Bush. Un esempio delle tante ingombranti eredità del "conservatore compassionevole" di cui Obama potrebbe volerci sbarazzare nel secondo mandato. Ma se dovesse decidere di farlo, gli consiglieremmo di cominciare chiudendo la prigione di Guantanamo. 
Obama impartisce la grazia e sembra pure prenderci gusto. Un po' meno le figlie adolescenti, 
che sembrano terrorizzate al pensiero di doversi sorbire altre quattro 
pagliacciate simili durante il prossimo mandato del padre  (la più grande avrà 18 anni nel 2016, altro che tacchini!)
Manco a dirlo, il nostro, di pennuto, non disponendo delle qualifiche necessarie per salvarsi, è finito dritto in forno, per emergerne tondo, miracolosamente dorato, e imbottito di quel saporito ripieno a base di interiora, pane, prugne e frutta secca che, insieme con il purée di patate e la salsa a base di mirtilli, è il vero protagonista di ogni Thanksgiving che si rispetti. Perché la carne di questo gigantesco pollo il cui peso medio al dettaglio è di 13 chili (ne pesava appena 8 nel 1940!) che cuoce in forno per cinque ore è di norma poco al di sopra dei comuni criteri di commestibilità. Asciutto e coriaceo, viene appena sbocconcellato tra generici gridolini di estasi da parte dei commensali, che già saturi di vino e antipasti hanno cura di affogare ogni minuscolo boccone nella salsa ai mirtilli per consentirne un transito meno accidentato attraverso l'esofago. E chi ha la sventura di ritrovarsi in casa i sedicenti "resti" del tacchino sa che dovrà continuare a ingoiarne in tutte le fogge per l'intera settimana successiva. Vera festa per il palato, Thanksgiving è una mannaia che cade con la stessa inesorabile ineluttabilità di Natale e Capodanno, con i quali condivide anche i grattacapi organizzativi e le grandi attese potenzialmente frustrate. In aggiunta, dura quanto un matrimonio nel sud d'Italia: dal primissimo pomeriggio sino a sfinimento a notte fonda. Eppure, l'amore con cui i nostri amici americani lo preparano, facendoci l'onore di includerci ormai da quattro anni nella loro cerchia più ristretta, ha finito per conquistarci. Ogni anno ci facciamo un po' belli, ci presentiamo con lo champagne in una mano e i pasticcini alla crema di zucca nell'altra, abbracciamo chi non abbiamo visto da un anno con il piacere di ritrovarlo, e ci uniamo alla festa. E quando viene il nostro turno, esprimiamo il nostro Ringraziamento (al Dio dei Puritani, del Capo indiano Massaoit o della Lobby del tacchino?) di essere sì lontani da casa, ma anche qui in America circondati dall'affetto di chi ci vuole bene. E di sentirci, in fondo, felici. Potere delle tradizioni.
La Prevalenza del Tacchino

sabato 24 novembre 2012

Tempi difficili

Tempi difficili, per New York. Tempi difficili per l'Imbucato. 
Da settimane si aggira per una città ancora intenta a leccarsi le ferite dell'Uragano Sandy. Le lunghe code di tassisti alle pompe per accaparrarsi il carburante razionato; la ripresa a rilento delle attività commerciali nel sud di Manhattan e la scomparsa di quelle che non ce l'hanno fatta a risollevarsi; i disagi a ripetizione nei trasporti pubblici che si sono protratti per settimane e non sono ancora completamente riassorbiti; i racconti attoniti di chi non aveva come noi la fortuna di abitare a nord della 14ma strada e si è trovato per una settimana proiettato nel Medioevo delle candele, delle strade oscure e delle toilette senz'acqua; le migliaia di senzatetto ancora abbandonati a se stessi in tanti quartieri borghesi sul mare, a un tiro di schioppo da Manhattan. Mentre la flebile voce di chi abita nei casermoni popolari delle località più periferiche e meno rilucenti ancora senza luce e acqua a settimane dall'inondazione non riesce a farsi sentire. Tutto contribuisce a creare l'impressione che i fragili  equilibri ecologici e socio-economici di questa ricca megalopoli-vetrina che tuttora rivendica il suo ruolo di capitale mondiale abbiano retto a malapena a un'onda anomala di quattro metri. E che l'eroismo stancamente accampato dai suoi abitanti e la fierezza della lotta a mani nude contro gli elementi non saranno in futuro sufficienti a salvarla, in assenza di interventi sulle sue infrastrutture neglette e affaticate, che peraltro ben pochi sembrano reclamare. Tempi difficili, per New York. Che riprese le quotidiane occupazioni, ha faticosamente riacceso le sue mille luci e cercato di archiviare la tempesta. In attesa della prossima.

L'Imbucato errabondo per le strade dell'East Side alla vigilia del Grande Shopping d'autunno ha colto
Le Mille Luci di  New York dalla prospettiva affascinante e poco battuta
della teleferica che costeggiando l'Ed Koch Bridge collega la 60ma strada con Roosevelt Island.

martedì 6 novembre 2012

Chicago, Illinois, 10.18 pm: Four More Years!!


Stevie Wonder, 1970, etichetta Tamla Motown: Signed, sealed, delivered, I'm Yours, prima nomination ai Grammy Awards per Wonder. È la canzone ufficiale della campagna di Barack Obama 2012.


lunedì 5 novembre 2012

Non ci resta che incrociare le dita.


Allora, "chi le vince, le elezioni?" chiedono inquieti amici/lettori europei.
Riuscirà l'idolatrato Presidente progressista a rintuzzare i temibili attacchi portatigli dall'aborrito, insensibile plutocrate e a restare ancora alla Casa Bianca per quattro anni? L'Imbucato non può che affidarsi ai sondaggi, che a poche ore dall'apertura dei seggi (espressione un po' desueta negli Stati Uniti, dove una percentuale non trascurabile degli aventi diritto ha in realtà già votato) considerano probabile una vittoria di Obama. Risicata, probabilmente, in termini proporzionali a livello nazionale, ma relativamente più netta per quanto riguarda il numero di Stati, e soprattutto di Grandi Elettori, che dovrebbe riuscire ad aggiudicarsi.

E se volete sapere il perché di questa affermazione annunciata - nonostante una campagna poco passionale, tecnicistica e talora esclusivamente negativa; nonostante un’economia che ha mostrato timidi segni di ripresa (specie, per sua fortuna, in alcuni degli Stati in bilico) ma che condanna tuttora quasi l’8% degli americani alla disoccupazione e molti milioni alla sottocupazione; nonostante una prestazione disastrosa e rinunciataria del primo dibattito televisivo che ha rischiato di costargli molto cara- forse bisogna chiederlo a Sandy. L’uragano. Distinguendosi dal suo predecessore, che nel 2005 aveva osservato New Orleans seppellita dalle acque in diretta TV dal suo luogo di villeggiatura in Texas, Obama ha prontamente sospeso la campagna elettorale per fare ritorno a Washington. E con il fiuto politico che non fa difetto né a lui né ai suoi consiglieri, ha passato due giorni nei luoghi del disastro a svolgere il ruolo super partes di padre della nazione dolente. Ha stretto mani, abbracciato anziane signore che avevano perso tutto, promesso aiuti, sempre dando abilmente mostra di volersi proteggere dalle telecamere al fine di non politicizzare l’evento. In TV per qualche giorno si è parlato poco di elezioni, e Mitt Romney ha dovuto mostrarsi ugualmente caritatevole: ha sospeso la campagna a sua volta per darsi suo malgrado alle riunioni di raccolta doni. E a causa dell’uragano, anche uno dei suoi più stretti alleati, Chris Christie, il pachidermico governatore repubblicano del New Jersey (lo stato più colpito dall’uragano), si è defilato: Autore sino a ieri di attacchi di estrema virulenza ed efficacia contro il Presidente, tra le rovine di Sandy Christie deve averne scoperto le doti nascoste, dando luogo ad abbracci, lodi e segni di stima e di apprezzamento in diretta televisiva che Romney deve avere fatto fatica a ingoiare. Per il 68% degli americani il comportamento di Obama in occasione dell’uragano Sandy è stato esemplare. E non è escluso che questo 'evento straordinario del mese di ottobre', come lo definiscono gli statistici, abbia contribuito a un miglioramento dei sondaggi. Nella maggior parte degli otto Stati in bilico Obama viene segnalato in vantaggio, sebbene di poco, o in parità. Il guru delle statistiche, il genietto in erba Nate Silver, scritturato dal New York Times per propinarci un complesso, dettagliatissimo e spesso incomprensibile pronostico quotidiano, attribuisce ad una vittoria di Romney poco più del 13% di probabilità. 

Incapace di aggiungere una parola di più (non ne avrei i titoli: statistica è l'unico esame a scienze politiche che ho dovuto dare due volte, senza peraltro imparare alcunché) mi fermo qua. Per scaramanzia, non vi riveleremo la località misteriosa dalla quale abbiamo scelto di seguire i risultati. Vi basti sapere che è la capitale dell'Illinois, che contende a New York la denominazione di "Gotham City", che vi fa già un freddo cane e che è la metropoli di provenienza di uno dei due Candidati. Sperando di aver fatto la scelta giusta...


PS Nel nostro albergo da 2000 stanze in cui sfaccendati viaggiatori d'affari seguono sui grandi schermi di uno degli innumerevoli ristoranti un'appassionante match di football americano in cui Philadelphia viene schiacciata da un'altra squadra non identificata i cui giocatori portano delle casacche nere, mi raggiungerà il Giornalista. Poiché la veneranda rivista europea per la quale lavora andrà in stampa martedì a  proclamazione del vincitore appena annunciata (nella migliore delle ipotesi), durante il week-end ha avuto il piacere di scrivere tre articoli: uno che esalta la vittoria di Obama, uno quella di Romney, e un terzo che spiega le ragioni del pareggio. Scegliete il vostro risultato ideale. E se volete sapere come sarebbe potuta andare, scrivete all'Imbucato.

Ed ecco i due contendenti che lanciano il loro ultimo appello agli elettori: Romney dal New Hampshire (minuscolo Stato della East Coast confinante col suo Massachusetts, in cui i sondaggi li danno in parità) e Obama dall'Iowa (piccolo Stato del midwest in cui Obama è dato vincente). Noi siamo al calduccio della nostra stanza. Sullo sfondo, gli splendidi grattacieli della metropoli misteriosa.