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martedì 27 novembre 2012

Da Benjamin ai nostri giorni: la prevalenza del Tacchino

È tradizione che a fine novembre gli americani si accalchino nei supermercati per aggiudicarsi la loro annuale vittima sacrificale da condividere con amici e parenti il giorno del Ringraziamento. Nella maggior parte dei casi la scelta cade sul tacchino, pennuto autoctono del Nuovo Continente che occupa un posto talmente importante nell'iconografia statunitense che su pressione di Benjamin Franklin per poco non fu scelto come simbolo del paese al posto dell'aquila di mare. All'epoca in cui i puritani del Mayflower nel 1621 ne divisero le carni con la tribù del capo indiano Massasoit dando inizio alla tradizione del Ringraziamento milioni di tacchini scorrazzavano liberi per le foresteE anche oggi che sono sfornati da impietose catene di montaggio avicole in imballaggi atti a preservarne le caratteristiche organolettiche, gli americani continuano ad apprezzarli. Solo per il giorno del Ringraziamento, si calcola che ogni anno ne vengano macellati 45 milioni. Tuttavia, due all'anno riescono a salvarsi, grazie al Potere di Grazia del Tacchino informalmente attribuito al Presidente degli Stati Uniti. Scelti ogni anno sulla base di una accurata selezione dalla lobby dei produttori di tacchini, i due fortunati esemplari acquistano il diritto di passare una notte nella suite di un prestigioso albergo della capitale per essere poi ammessi al cospetto del Presidente, che durante una solenne cerimonia pubblica impartisce loro il diritto di morire di morte naturale in un lussuoso allevamento in Virginia. Se questo rituale farsesco sembra a prima vista coniugare le caratteristiche tutte americane dell'amore per lo spettacolo e del radicato attaccamento alle tradizioni, il Washington Post non ne è convinto, e in un gustoso articolo reclama l'abolizione dell'incongrua buffonata, che distoglie l'Uomo più potente della Terra da occupazioni più serie, squalificandolo agli occhi della comunità internazionale. Quel che più preoccupa in questa faccenda è che a istituzionalizzare la pratica della Grazia non sia stato un venerando Padre della Patria ma bensì il meno rispettabile George W. Bush. Un esempio delle tante ingombranti eredità del "conservatore compassionevole" di cui Obama potrebbe volerci sbarazzare nel secondo mandato. Ma se dovesse decidere di farlo, gli consiglieremmo di cominciare chiudendo la prigione di Guantanamo. 
Obama impartisce la grazia e sembra pure prenderci gusto. Un po' meno le figlie adolescenti, 
che sembrano terrorizzate al pensiero di doversi sorbire altre quattro 
pagliacciate simili durante il prossimo mandato del padre  (la più grande avrà 18 anni nel 2016, altro che tacchini!)
Manco a dirlo, il nostro, di pennuto, non disponendo delle qualifiche necessarie per salvarsi, è finito dritto in forno, per emergerne tondo, miracolosamente dorato, e imbottito di quel saporito ripieno a base di interiora, pane, prugne e frutta secca che, insieme con il purée di patate e la salsa a base di mirtilli, è il vero protagonista di ogni Thanksgiving che si rispetti. Perché la carne di questo gigantesco pollo il cui peso medio al dettaglio è di 13 chili (ne pesava appena 8 nel 1940!) che cuoce in forno per cinque ore è di norma poco al di sopra dei comuni criteri di commestibilità. Asciutto e coriaceo, viene appena sbocconcellato tra generici gridolini di estasi da parte dei commensali, che già saturi di vino e antipasti hanno cura di affogare ogni minuscolo boccone nella salsa ai mirtilli per consentirne un transito meno accidentato attraverso l'esofago. E chi ha la sventura di ritrovarsi in casa i sedicenti "resti" del tacchino sa che dovrà continuare a ingoiarne in tutte le fogge per l'intera settimana successiva. Vera festa per il palato, Thanksgiving è una mannaia che cade con la stessa inesorabile ineluttabilità di Natale e Capodanno, con i quali condivide anche i grattacapi organizzativi e le grandi attese potenzialmente frustrate. In aggiunta, dura quanto un matrimonio nel sud d'Italia: dal primissimo pomeriggio sino a sfinimento a notte fonda. Eppure, l'amore con cui i nostri amici americani lo preparano, facendoci l'onore di includerci ormai da quattro anni nella loro cerchia più ristretta, ha finito per conquistarci. Ogni anno ci facciamo un po' belli, ci presentiamo con lo champagne in una mano e i pasticcini alla crema di zucca nell'altra, abbracciamo chi non abbiamo visto da un anno con il piacere di ritrovarlo, e ci uniamo alla festa. E quando viene il nostro turno, esprimiamo il nostro Ringraziamento (al Dio dei Puritani, del Capo indiano Massaoit o della Lobby del tacchino?) di essere sì lontani da casa, ma anche qui in America circondati dall'affetto di chi ci vuole bene. E di sentirci, in fondo, felici. Potere delle tradizioni.
La Prevalenza del Tacchino

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