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mercoledì 25 gennaio 2012

E' arrivata la lavatrice!!



Nonostante l'impegno intellettuale profuso, il Vostro Imbucato non è riuscito a determinare con esattezza il tasso di penetrazione della lavatrice presso i nuclei familiari americani. Il dato non sembra esistere su Google nonostante la quantità di interessanti studi disponibili in materia. Quel che è certo è che a NY in casa propria forse ce l'aveva Madoff e pochi altri. Si ritiene fortunato chi può condividere con gli altri inquilini del proprio stabile l'uso di una lavatrice, sistemata -di solito in compagnia di una colossale asciugatrice- in fondo ad uno scantinato spettrale. Gli inquilini faranno dunque regolarmente la fila in pantofole per riempire e svuotare le macchine del loro prezioso carico, avendo cura di munirsi in precedenza di manciate di monete da 25 centesimi da infilare nelle apposite fessure. Sino a ieri noi questa fortuna non ce l'avevamo. Mandavamo la nostra roba a lavare alla lavanderia dell'angolo grazie all'eroico e estenuante ponte pedestre dei garzoni messicani. Una procedura carissima. Ora la nostra vita è cambiata. Anche noi potremo mettere le pantofole e fare conoscenza più approfondita con gli anziani inquilini in fila per i panni come noi.
PS La foto dell'aggeggio è volutamente vintage, poiché con la sola eccezione dei prodotti Apple buona parte della tecnologia e il design di uso quotidiano in questo paese non sembra avere conosciuto alcuna evoluzione dagli anni 70. 

Il discorso dell'Unione

Niente viaggio a Washington per il discorso del'Unione, quest'anno (che il Vostro Imbucato segui' l'anno scorso dalla sua spartana stanza d'albergo su K street mentre il Giornalista fissava la nuca del Presidente dagli scranni posteriori del Capitol dedicati alla stampa). Il nostri due protagonisti sono stanchi per il troppo viaggiare, e dopo un frugale filetto di red snapper con contorno di melanzane al forno si sono goduti in TV il gattesco Presidente, al massimo della forma. Dopo mesi passati a osservare sondaggi poco incoraggianti e analisi politiche funeste, Barack ha rilanciato la sua politica ed è tornato a sguainare gli artigli. Ha rivendicato i propri successi,  esaltato i segni di ripresa americana e confermato il proprio ruolo di difensore della classe media minacciata dall'establishment finanziario. E attenti a voi, milionari che pagate meno tasse delle vostre segretarie. Se si mantiene così' durante la campagna, si fa dura per il diafano Mitt, strenuo difensore dei banchieri e delle tasse minime per i ricchi (vale a dire per sé, se non si fosse capito).

martedì 24 gennaio 2012

Primavera senza teste


Bello tornare a New York. Temevo che ad attendermi avrei trovato la mia fredda, bagnata, temutissima nemica invernale, che ancora miracolosamente non è apparsa a New York -inverno mite, dicono- e che ci era stata annunciata dagli addetti della United all'aeroporto di Charleston a giustificare il ritardo di 4 e più ore del loro volo per Newark. Pare invece sia stato il vento forte ad aver rallentato i voli per tutta la giornata. Stamattina al risveglio invece clima primaverile tiepido, passanti in abiti leggeri nell'Upper West Side, anziani dell'ospizio accanto in libera uscita, dog-sitters e gente carica di spesa. Un bel contraltare al cattivo umore del Giornalista. Tanto che con inedito entusiasmo ho inforcato il nostro carrello della spesa in finto stile Burberry's  con l'intento di acquistare quanto necessario per colmare i desolati 700 litri vuoti -da mesi- del frigoriferone. Missione compiuta con impeccabile precisione e larghi sorrisi alla matrona nera alla cassa. Che sensazione strana, pero', nello scoprire che hanno chiuso il negozio Gap all'angolo di Broadway e della 86ma. Un punto di riferimento per il quartiere. Senza avvertire, dall'oggi al domani. Un negozio grande come la Upim di via Dante. Chiuso. Giro d'affari insufficiente? E che ne sarà degli svogliati commessi che si trascinavano all'interno? Chiuso con dei fogli di carta da pacchi sulle vetrine, un annuncio di due righe della direzione, e degli scaricatori messicani che trascinano via gli ultimi manichini nudi e senza testa nell'indifferenza generale.

lunedì 23 gennaio 2012

Charleston, South Carolina, il tabacco e l'aviazione civile




Tra le città più ricche degli Stati Uniti alla fine del XVIII secolo grazie alla tratta degli schiavi e alle piantagioni di tabacco e cotone, Charleston ha conservato buona parte degli edifici pubblici e privati dell'epoca e del secolo successivo.  E' un piacere riscoprirla dopo quasi vent'anni dalla prima visita. Un po' più tirata a lucido, conserva intatta la sua immobile indolenza e  ancora resiste ai tentativi di farla assomigliare a Disneyland, destino comune alla maggior parte dei luoghi che hanno la sventura di essere definiti 'storici' in questo paese. 



Forse sarà l'attesa snervante di cinque ore all'aeroporto di Charleston, miserino, dove mi ha depositato con largo anticipo un tassista nero almeno settantenne con tutti i denti dorati e camicione tribale, ma quei sinistri, giganteschi aeroplani neri che si levano in volo senza sosta nella notte non mi rassicurano. Al decollo, il nostro minuscolo Embraer United, in ritardo di quattro ore, sarà costretto a farsi spazio tra loro. Nessuno se ne cura, tra i passeggeri accasciati per ore sulle poltrone in finta pelle, nemmeno tanto annoiati né infastiditi nonostante l'assoluta assenza di informazioni sulla sorte del nostro volo (semplicemente 'delayed' per parecchie ore), né sulle motivazioni del ritardo. Gli americani sono pazienti e confidano nell'autorità. Per ingannare il tempo, il Vostro Imbucato segue una sua pista e scopre che Charleston è la sede del montaggio finale del nuovo Boeing 787, aereo di nuova concezione di cui si dicono meraviglie, i cui primi esemplari, dopo anni di ritardi, hanno iniziato a essere consegnati progressivamente. A ben guardare lo stabilimento sembra essere dall'altra parte della pista, e gli uccellacci neri devono servire a convogliare incessantemente a Charleston pezzi di 787 prodotti in altri stabilimenti sparsi per il mondo. O così almeno credo.




Un tabaccaio e la veranda di una casa aristocratica

sabato 21 gennaio 2012

Imbucato alla campagna repubblicana, South Carolina/3 La festa di Newt







La festa della vittoria nella sala riunioni dell'Hilton di Columbia (che non è la prestigiosissima Università di NY ma la meno nota città della South Carolina che dello Stato è la capitale, come dimostra la cupola del Campidoglio che troneggia in centro tra terreni vuoti e abbandonati, colossali parcheggi e edifici liberty) è arrogante, pacchiana e gaudente come il vincitore. Probabilmente organizzata all'ultimo secondo, come piace a lui. Ci si entra senza invito né controlli, tramezzini e formaggio per tutti, alcolici a pagamento che scorrono a fiumi. Tra gli astanti, qualche improbabile militante che brandisce l'intorcinato slogan della campagna* ma soprattutto 60enni d'assalto, arricchiti, imbolsiti dai troppi hamburger e resi tronfi da una vittoria in larga misura inaspettata, almeno nelle proporzioni. Il discorso di Gingrich è inizialmente sobrio sullo stile dello statista che è convinto di essere, e poi via via più trombonesco e autoreferenziale. Pare che l'uomo non sappia gestire lo sconfinato amore che nutre per se stesso. Mitt ha riconosciuto la sua sconfitta più di due ore prima in un clima reso più spettrale dall'eccesso di mezzi inutilmente profusi dalla sua campagna. Al megacapannone della Fiera di Columbia (chissà che ci fanno in questi spazi colossali, quando non c'è Mitt) si accede dopo aver passato filtri e controlli. Ai giornalisti non è concesso l'ingresso nella sala principale, dove un manipolo di militanti è stato ammaestrato a contenere la delusione, ma solo alla sala stampa, approntata ad occhio per ospitare qualche migliaio di reporter. Ce ne saranno venti più l'Imbucato, naufragati li' per pigrizia, a morire di freddo e a fissare gli schermi giganti su cui Fox News annuncia ancor prima della chiusura dei seggi che Newt ha ottenuto il 40 cento. La cameriera preposta a servire le bevande affogate nel ghiaccio, anche alcoliche nonostante la fede mormone del Capo, rimarrà impettita e disoccupata tutta la sera.
*Unleash the American people to rebuild the America we love, uff!




venerdì 20 gennaio 2012

Imbucato alla campagna Repubblicana, South Carolina/2 Noi e l'elefante


Nel giorno più convulso della campagna per le primarie repubblicane in South Carolina, a 24 ore dal voto, i coniugi Gingrich onorano con la loro presenza una meritoria istituzione cittadina, l'ospedale per bambini. Una folla di giornalisti li accoglie, affamata di dichiarazioni e non tanto ben disposta, dopo che il candidato ha annullato senza preavviso un incontro mattutino, previsto da vari gruppi religiosi come oceanico e ridottosi a un miserevole flop in sua assenza. I coniugi incedono come una coppia presidenziale più che candidata, si fanno lentamente largo negli spazi inadeguati tra pazienti e giornalisti, confabulano in maniera inintelligibile con i medici, poi scompaiono per mezz'ora, che i giornalisti ingannano come loro solito, tra lazzi, telefonate e isterico battere su tastiere di computer. E' Callista, la terza e attuale moglie del candidato, a  emergere alfine da dietro le quinte, accompagnata da un individuo mascherato da elefante, che l'ingenuo Imbucato ha pensato inizialmente di poter identificare come lo stesso Gingrich (che in quanto a stazza non avrebbe nulla da invidiare al pachiderma). Il vero Gingrich si tiene in realtà discosto e ammira con tenero sorriso la pantomima che si svolge sotto l'occhio costernato dei giornalisti e delle loro telecamere. Callista, morbidamente assisa tra ignari e disinteressatissimi bambini di vari colori messi a disposizione per la bisogna e fiancheggiata dal finto elefante, si dà a fare a raccontare loro la storia d'America secondo Callista. Per meglio dire, recita loro il libretto, a quanto pare bisognoso di parecchia pubblicità, e di cui lei stessa è autrice, "Sweet land of liberty", disponibile su Amazon a dollari 10.17. http://www.amazon.com/Sweet-Land-Liberty-Callista-Gingrich/dp/1596982926/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1328639625&sr=1-1 Conclusa la loro efficace dimostrazione di come pubblico impegno e interesse privato si mescolerebbero in una eventuale amministrazione Gingrich, i due se ne vanno, silenziosi come erano venuti, tra i giornalisti che smontano le telecamere e scrollano la testa.


giovedì 19 gennaio 2012

Imbucato alla campagna Repubblicana, South Carolina/1 La noia di Mitt (e la nostra)


Mitt Romney è il grande favorito, il più moderato e il più spendibile contro Obama, l'unico tra i quattro candidati rimasti che possa letteralmente pagarsi una marcia trionfale verso la nomination repubblicana, e che sicuramente lo farà.  Eppure ancora prima di vederlo umiliato dalla vecchia volpe Gingrich sabato sera in South Carolina, Mitt ci ha sempre dato l'impressione di essere un po' inadeguato. Incaponitosi a voler diventare Presidente degli Stati Uniti, quest'anno si ripresenta dopo il tentativo fallito del 2008 e la necessità di strizzare l'occhio a una base repubblicana sempre più radicale che lo osteggia per essere troppo moderato e liberale. Non gli mancano né la volontà né i mezzi materiali; le riunioni elettorali sono preparate con cura del dettaglio e rigida professionalità americana. I militanti/figuranti vengono fatti affluire sul palco in anticipo, a preparare lo sfondo dietro al Capo, e a rappresentare una diversità culturale studiata a tavolino: due asiatici a destra, due a sinistra, un nero al centro e una vecchietta di lato (dei gay non è dato sapere, se ne parla poco in queste primarie e in queste contrade); e tutti a sventolare le bandierine di Mitt. Poi, mentre gli altoparlanti rovesciano sulla folla un country dozzinale ma energico, sbarca il pullman della campagna, al cui interno Mitt, che viaggia in Boeing 737 in affitto, non ha mai posato le auree chiappe, tirato a lucido e recante sulla fiancata le parole d'ordine che il candidato ripeterà sino allo sfinimento: Conservative, Businessman, Leader! L'uomo è ricchissimo, potente e profondamente conservatore, eppure la sua crudele mancanza di carisma stride talmente con questo circo congegnato per incoraggiare il culto della personalità che fa quasi tenerezza. Che pena vederlo agitarsi sui remoti palchi di provincia di Greenville, South Carolina, e solcare con passo incerto e il sorriso stampato folle che sembrano osannarlo per contratto, sentirlo ripetere senza ispirazione né eloquenza sempre lo stesso discorso pro-business e pro-valori americani, non prima di essersi fatto presentare con amorevole ammirazione dalla mogliettina Ann, conosciuta al college e dotata, contrariamente alla collega Callista, dell'uso della favella in pubblico. Ann declama ovunque, con lo stesso tono monocorde e le stesse identiche parole, che lei non avrebbe voluto che Mitt si (ri)candidasse ma che ha dovuto cedere solo dopo che lui gli ha dato la sua parola che riuscirà a salvare l'America...


Ma chi glielo farà fare a questi due, di sobbarcarsi tante fatiche e dover dire tante enormità? Forse si deve davvero scomodare l'ingombrante e idolatrata figura del padre governatore da eguagliare e superare per ovvie esigenze di copione psicanalitico per capire perché Mitt non si rassegni a una semplice, meritata vecchiaia dorata in qualche paradiso fiscale tropicale come la maggior parte dei suoi consimili milionari. Mitt a 64 anni è più bello e ha più capelli di George Clooney, è sposo felice e padre orgoglioso di cinque manzi uno meglio riuscito dell'altro (sebbene afflitti dallo sguardo vitreo tipico di molti americani di buona famiglia. Tra loro eccelle comunque il giovane Craig, a sinistra nella foto; una preferenza personale confermata dal popolo di internet) e tutti certo votati a sicuro avvenire. Mitt è stato brillantissimo e innovativo consulente bostoniano, e continua largamente a beneficiare di quella esperienza e degli investimenti che ne sono derivati nella misura di più di 21 milioni di dollari l'anno scorso (su cui paga la ridicola aliquota del 13%); è stato manager di riconosciuta competenza dei giochi olimpici, ha anche assaporato la vita politica come governatore del Massachusetts. Cosa lo spingerà a rimettersi in gioco di fronte alla nazione intera? Sarà forse la noia, o l'incapacità di trovare modi meno inutili di spendere il suo incalcolabile patrimonio?