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giovedì 19 gennaio 2012

Imbucato alla campagna Repubblicana, South Carolina/1 La noia di Mitt (e la nostra)


Mitt Romney è il grande favorito, il più moderato e il più spendibile contro Obama, l'unico tra i quattro candidati rimasti che possa letteralmente pagarsi una marcia trionfale verso la nomination repubblicana, e che sicuramente lo farà.  Eppure ancora prima di vederlo umiliato dalla vecchia volpe Gingrich sabato sera in South Carolina, Mitt ci ha sempre dato l'impressione di essere un po' inadeguato. Incaponitosi a voler diventare Presidente degli Stati Uniti, quest'anno si ripresenta dopo il tentativo fallito del 2008 e la necessità di strizzare l'occhio a una base repubblicana sempre più radicale che lo osteggia per essere troppo moderato e liberale. Non gli mancano né la volontà né i mezzi materiali; le riunioni elettorali sono preparate con cura del dettaglio e rigida professionalità americana. I militanti/figuranti vengono fatti affluire sul palco in anticipo, a preparare lo sfondo dietro al Capo, e a rappresentare una diversità culturale studiata a tavolino: due asiatici a destra, due a sinistra, un nero al centro e una vecchietta di lato (dei gay non è dato sapere, se ne parla poco in queste primarie e in queste contrade); e tutti a sventolare le bandierine di Mitt. Poi, mentre gli altoparlanti rovesciano sulla folla un country dozzinale ma energico, sbarca il pullman della campagna, al cui interno Mitt, che viaggia in Boeing 737 in affitto, non ha mai posato le auree chiappe, tirato a lucido e recante sulla fiancata le parole d'ordine che il candidato ripeterà sino allo sfinimento: Conservative, Businessman, Leader! L'uomo è ricchissimo, potente e profondamente conservatore, eppure la sua crudele mancanza di carisma stride talmente con questo circo congegnato per incoraggiare il culto della personalità che fa quasi tenerezza. Che pena vederlo agitarsi sui remoti palchi di provincia di Greenville, South Carolina, e solcare con passo incerto e il sorriso stampato folle che sembrano osannarlo per contratto, sentirlo ripetere senza ispirazione né eloquenza sempre lo stesso discorso pro-business e pro-valori americani, non prima di essersi fatto presentare con amorevole ammirazione dalla mogliettina Ann, conosciuta al college e dotata, contrariamente alla collega Callista, dell'uso della favella in pubblico. Ann declama ovunque, con lo stesso tono monocorde e le stesse identiche parole, che lei non avrebbe voluto che Mitt si (ri)candidasse ma che ha dovuto cedere solo dopo che lui gli ha dato la sua parola che riuscirà a salvare l'America...


Ma chi glielo farà fare a questi due, di sobbarcarsi tante fatiche e dover dire tante enormità? Forse si deve davvero scomodare l'ingombrante e idolatrata figura del padre governatore da eguagliare e superare per ovvie esigenze di copione psicanalitico per capire perché Mitt non si rassegni a una semplice, meritata vecchiaia dorata in qualche paradiso fiscale tropicale come la maggior parte dei suoi consimili milionari. Mitt a 64 anni è più bello e ha più capelli di George Clooney, è sposo felice e padre orgoglioso di cinque manzi uno meglio riuscito dell'altro (sebbene afflitti dallo sguardo vitreo tipico di molti americani di buona famiglia. Tra loro eccelle comunque il giovane Craig, a sinistra nella foto; una preferenza personale confermata dal popolo di internet) e tutti certo votati a sicuro avvenire. Mitt è stato brillantissimo e innovativo consulente bostoniano, e continua largamente a beneficiare di quella esperienza e degli investimenti che ne sono derivati nella misura di più di 21 milioni di dollari l'anno scorso (su cui paga la ridicola aliquota del 13%); è stato manager di riconosciuta competenza dei giochi olimpici, ha anche assaporato la vita politica come governatore del Massachusetts. Cosa lo spingerà a rimettersi in gioco di fronte alla nazione intera? Sarà forse la noia, o l'incapacità di trovare modi meno inutili di spendere il suo incalcolabile patrimonio? 

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