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domenica 5 agosto 2012

La disoccupazione in America...

È dura svegliarsi la mattina da questa parte dell'Atlantico. Con i mercati finanziari europei già in piena ebollizione da diverse ore. Ed è con una certa apprensione che ogni giorno risveglio i nostri numerosi apparati elettronici Apple dalla loro stasi notturna: i sedicenti partner europei avranno trovato l'accordo per salvare dalla rovina la banca spagnola in cui ho sapientemente pensato di depositare i miei risparmi? E l'euro avrà ancora perduto terreno a seguito dell'ultima uscita in chiave leghista del Ministro del Bilancio finlandese o del sottosegretario alle Poste austriaco? E i mercati non si saranno per caso depressi al sentire una dichiarazione del governatore della Banca Centrale identica a quella per cui si erano entusiasmati tre giorni prima? Dopo tante docce fredde, venerdì è stata una buona giornata: la stampa italiana annunciava che la Borsa di Milano aveva preso il volo e che persino lo spread era tornato a più miti propositi. Tra le consuete ragioni evanescenti o imperscrutabili spiccava un dato concreto: 'le buone notizie sul fronte dell'occupazione americana', con 163mila posti di lavoro in più a luglio. Un sollievo certo fugace, ma che se non altro mi ha accompagnato per questo week-end umido e soffocante.

.... i candidati alla vigilia delle Convention...

Il 4 agosto Obama ha festeggiato ieri i suoi 51 anni a Camp David
in forma privata. In attesa di farlo tra qualche giorno con centinaia
di illustri sconosciuti che hanno finanziato la sua campagna.
Eppure, proprio negli Stati Uniti il dato sulla disoccupazione è stato interpretato con maggiore cautela e molti distinguo, e non solo da parte dei repubblicani che hanno interesse a svalutarne la portata. Se è vero che è più positivo del previsto, è anche vero che il tasso di disoccupazione in America rimane inchiodato da tre anni sopra l'8%, ed è irragionevole aspettarsi che possa diminuire a breve (sarebbero necessari non 160mila nuovi posti di lavoro al mese ma quasi il doppio). Brutte notizie per Obama: nella storia recente degli Stati Uniti solo Reagan  riuscì a farsi rieleggere in una situazione comparabile. All'epoca tuttavia il tasso di disoccupazione era un po' meno elevato, intorno al 7%, ma soprattutto nei tre anni precedenti era sceso vertiginosamente, da valori a due cifre. Non potendo vantare un successo di questa portata Obama spera di convincere i suoi elettori che la crisi è senza precedenti, e che avrebbe potuto essere ben più grave in assenza del suo intervento. E soprattutto, che il suo avversario sarebbe di gran lunga più inetto di lui. Almeno su quest'ultimo aspetto, il Presidente sembra poter dormire sonni tranquilli. L'estate è stata avara di soddisfazioni per Mitt Romney: gli americani continuano a non stravedere per lui e almeno sul piano della gradevolezza personale gli preferiscono di gran lunga Obama. Le polemiche sul suo tenore di vita ma soprattutto sul mistero che circonda le sue dichiarazioni dei redditi non accennano a sopirsi e gli mettono il piombo nelle ali. In alcuni stati chiave quali la Pennsylvania, l'Ohio e la Florida, in cui Obama gliele ha martellate contro, i sondaggi lo danno al momento nettamente staccato. E nella maggior parte dei sondaggi a livello nazionale il Presidente appare quasi sempre in testa, sebbene con margini spesso risicati.

... E il calamitoso viaggio di Mitt tra Londra e Gerusalemme

Inoltre Mitt fa quel che può per darsi la zappa sui piedi. Il suo viaggio di fine luglio in tre capitali estere amiche, concepito con l'obiettivo di accreditarsi come statista internazionale, ha prodotto parecchia ilarità e risultati a dir poco perniciosi. Alla vigilia della sua visita a Londra, con raro talento diplomatico ha criticato l'organizzazione dei giochi olimpici il giorno prima della loro inaugurazione in pompa magna, attirandosi una smentita piccata del Primo Ministro e il sarcasmo della stampa britannica offesa. Della visita in Polonia, a priori altrettanto priva di difficoltà, si ricorda un solo episodio: l'addetto stampa di Romney che davanti alla CNN insulta con epiteti volgari i giornalisti colpevoli di cercare di carpire qualche dichiarazione al suo capo. Il quale alla loro compagnia preferisce quella dei suoi facoltosi finanziatori ebrei americani, riuniti a Gerusalemme per ascoltare un discorso del candidato così unilateralmente pro-israeliano da far pensare che possa essere stato scritto dai collaboratori del Primo Ministro Netanyahu (i due hanno un rapporto di amicizia che dura dagli anni '70, quando lavorarono insieme negli Stati Uniti). Di suo, Romney ha certamente aggiunto il riferimento alla "superiorità culturale" degli israeliani, che spiegherebbe i loro migliori risultati economici rispetto a quelli dei palestinesi. Una teoria, questa, non soltanto contestabile in assoluto sul piano scientifico, ma che non tenendo in minimo conto l'isolamento economico e commerciale  di cui sono vittima i palestinesi  sotto occupazione appare ingiusta e diplomaticamente poco accorta. Al punto di attirargli valanghe di critiche, e non solo da parte della leadership palestinese (con la quale peraltro Romney ha avuto rapidi e distratti contatti durante la visita).

Il maldestro svolgimento del viaggio, e le ripetute, sorprendenti gaffe che l'hanno caratterizzato hanno indotto il settimanale Newsweek a chiedersi se  Romney non sia troppo insicuro per diventare Presidente, bollandolo come uno "wimp" (un buono a nulla). Ma chi non lo ama farebbe bene a non cantare vittoria troppo presto: l'ultimo che Newsweek etichettò in copertina come tale fu George Bush Padre, nel 1987: fu eletto agevolmente Presidente un anno più tardi.
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Il pasticcione di Gerusalemme. Considerato che negli Stati Uniti risiedono più di 6 milioni di cittadini di religione e/o cultura ebraica non dovrebbe sorprendere che un Candidato alla Presidenza cerchi di accreditarsi come il migliore amico di Israele. Più sorprendente è la leggerezza e la scarsa preparazione di cui Romney ha dato mostra nel difendere le proprie posizioni. Riguardo a Gerusalemme, per esempio. Per il governo israeliano Gerusalemme è la capitale del paese, mentre è fatto noto che la comunità internazionale, in assenza di un accordo di pace con i palestinesi, la pensi altrimenti. Tutte le amministrazioni americane dalla fondazione di Israele a oggi hanno subordinato alla conclusione dei negoziati la definizione dello status di Gerusalemme, e resistito alle ripetute richieste del Congresso di trasferirvi l'Ambasciata da Tel Aviv, dove si trova dal 1948. Romney, che  che come altri candidati repubblicani e non del passato ha dichiarato platealmente che Gerusalemme è capitale (attirandosi applausi a scena aperta in Israele), in interviste successive ha dimostrato di travisare la posizione del proprio governo. Guardate questa breve intervista a CNN: Romney vi sostiene che la sua proposta di spostare l'ambasciata a Gerusalemme si colloca pienamente nel solco della tradizionale politica americana. Ma mette le mani avanti, sostenendo che andrebbe posta in essere previa consultazione con il governo israeliano (mostrando di non essere del tutto al corrente che quest'ultimo vi è da sempre favorevole). Wolf Blitzer, l'intervistatore, assai addentro alla questione per aver svolto parte della sua carriera in Israele, non si capacita, e chiede più volte precisazioni. Romney ribadisce, incespica e finisce per dire che come candidato non spetta a lui fare dichiarazioni di politica estera. Più chiaro di così...



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