Cerca nel blog

domenica 26 febbraio 2012

A Brooklyn, in compagnia di Riccardo (quello cattivo)



Poiché l'Imbucato è uomo di parola, eccoci a spasso per
 Brooklyn, dove ci aspetta la Brooklyn Academy of Music, BAM,una fucina culturale di antica tradizione che attizza le nostre velleità culturali ogni volta che i vagoni della metro vengono tappezzati con la pubblicità della nuova stagione: un bombardamento di musica, cinema, teatro e balletto di richiamo e qualità che lascia spazio a tutte le tendenze. Il pezzo forte del momento all'Harvey Theatre, un gioiello del primo novecento che la BAM ha restaurato strappandolo all'abbandono con l'obiettivo riuscito di farlo sembrare una tetra ma deliziosa rovina,  è il Riccardo III con Kevin Spacey. Kevin, divo hollywoodiano premiato con due oscar ma alternativo ed enigmatico (perifrasi ricorrente per dire che è probabilmente gay ma che si è limitato per ora a farlo solo subodorare) ci tiene al teatro, ed è da dieci anni direttore artistico del londinese Vic Theatre. Dopo aver accarezzato per molti anni il sogno di interpretare Riccardo, una versione più paludata del già duplice e infido Verbal Kint di 'Usual Suspects', da un anno ha messo su questa produzione e gira il mondo con la corona in testa.  La regia è di Sam Mendes, vecchio compare di Oscar in America's Beauty. Riccardo III è la storia di un aspirante al trono deforme, mediocre e rancoroso ma con le idee chiare, che dopo un primo atto passato a fare il vuoto tra i suoi rivali trucidandoli o circuendoli e a costruire detestabili alleanze politiche di convenienza, riesce a farsi incoronare re d'Inghilterra. Nel secondo atto raccoglierà i frutti dell'odio che ha seminato finendo solo e in preda agli incubi, e perderà vita e potere nella battaglia finale. Sebbene recitata nell'arcaico idioma shakespeariano che all'inglese odierno non somiglia nemmeno nel suono (sarà per pura invidia ma l'Imbucato, che nulla ha capito di quello che si diceva sul palco con qualche rara eccezione, sarebbe pronto a giurare che neanche il pubblico americano presente avesse le idee tanto più chiare), la storia è una potente metafora dell'eterna lotta per il potere e della sua inanità, e conserva forza e attualità, specie alla luce delle innumerevoli teste di tiranni rotolate di recente.  Da grande mattatore, Spacey mette in ombra tutti gli altri comprimari e, accompagnato da una regia semplice ma potente e suggestiva (un assaggio nel clip  un po' cinematografico qui sotto), dà al personaggio delle sfumature sardoniche quasi tenere nel primo atto, per poi precipitarlo nel dramma della solitudine e della paranoia nel secondo. Spacey/Riccardo non si risparmia, finirà la sua parabola coperto di sangue e appeso per i piedi per lunghi minuti, prima di essere pietosamente raccattato e rimesso in piedi, giusto in tempo per raccogliere i nostri applausi. 


Now is the winter of our discontent!











Nessun commento:

Posta un commento