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martedì 2 ottobre 2012

Film Forum, il mio migliore amico a New York


Questa settimana al Film Forum: Elio Petri, 1970, Oscar per 
il miglior film Straniero. Un thriller politico imbevuto di 
surrealismo grottesco, con un grandissimo Gian Maria Volonté, 
una conturbante Florinda Bolkan, una straordinaria colonna 
sonora di Morricone e un sacco di splendide Alfa Romeo d'epoca!
Film Forum, since 1970

Dorrie e Annamaria, mentre
festeggiano la mia partenza. 
Un anno più tardi, 
ancora festeggiano

È già passato quasi un anno, le foglie sugli alberi cominciano a ingiallire, e la mia tessera annuale del Film Forum, il re dei cineclub newyorchesi, sta per scadere. I colleghi di lavoro, con l'accorta regia di Dorrie, che di America se ne intende, me l'hanno regalata quando sono andato via. E da ottobre scorso, estate e inverno, ho colmato i vuoti delle mie incerte giornate di orfano del lavoro fisso con il programma di film d'essai e grandi classici che il Film Forum seleziona con amore e inevitabile spocchia per le sue migliaia di aficionados. Ho condiviso il piacere con canuti ex-hippy e imberbi studentelli, professoresse lesbiche ostili ai cellulari, e intellettuali dell'East Village immersi nella lettura del New Yorker sino allo spegnersi delle luci. Sì, perché i pochi che al Film Forum vengono accompagnati quasi si scusano: il modo migliore per assaporare un vecchio "Io e Annie", la "Battaglia di Algeri" o un vecchio Truffaut è farlo da soli, in religioso silenzio. Attivo dal 1970, Film Forum, l'unico cineclub davvero indipendente rimasto in città, si sostiene grazie a un piccolo lascito e a donazioni private, fa girare i film dalle tredici all'una nelle tre sale climatizzate (una delle quali dotata di una serie di pilastri a ostruire la visione dello schermo, che da habitué ho ormai imparato ad evitare abilmente) e arrotonda gli incassi con le torte fatte in casa e i pop corn che si possono acquistare nel bar intitolato a Federico Fellini. E poco male che si trovi al confine tra Soho e il Village, all'estremo opposto di Manhattan rispetto a casa; quando l'ora arriva, è un piacere saltare in un vagone argentato della metropolitana, attraversare le viscere della città, ed emergere dopo poco più di venti minuti sotto la pioggia o il solleone ai piedi dell'insegna blu accesa tutto l'anno.
L'altro giorno ho ricevuto dal Film Forum un modulo per il rinnovo della tessera fino a ottobre 2013. L'ho rapidamente compilato, affrancato, impostato. Non so ancora con precisione cosa farò l'anno prossimo, ma se sarò a New York, il Film Forum rimarrà il mio migliore amico in città.

...e i Palestinesi di Bil'in

Vincitore del premio per il miglior
documentario al Sundance Festival 2012
Oltre ai grandi classici del passato, tra i film visti quest'anno si segnalano l'ultima opera del cineasta turco dell'incomunicabilità e un ipnotico film girato clandestinamente nel Sud Africa dell'apartheid. Ma soprattutto "5 Broken Cameras", un documentario di poche pretese e grandi qualità che documenta la lotta non-violenta degli abitanti del paesello palestinese di Bil'in, in Cisgiordania, contro l'espansione delle colonie israeliane che minacciano l'accesso alle loro terre. Girato con cinque videocamere di fortuna, progressivamente rimpiazzate ogni volta che la precedente veniva distrutta nel corso degli scontri con i soldati israeliani, il film ha il merito di presentare gli avvenimenti dall'angolo visuale di un semplice contadino palestinese. L'attenzione dell'autore, inizialmente focalizzata sui primi vagiti del quarto figlio, Gibreel, si sposta rapidamente sui lavori in corso per la costruzione da parte del governo israeliano della barriera di separazione -il cui tracciato sconfina nelle terre che i palestinesi di Bil'in coltivano da sempre- e sulla lotta spontanea dei suoi conpaesani per impedirla. Descrivendo con distaccata passione le piccole storie tragiche e talora divertenti del villaggio e della sua famiglia, trascinati loro malgrado nel Conflitto, l'autore, la cui unica aspirazione, sinora puntualmente inappagata, è quella di offrire un futuro migliore ai suoi figli, riesce a rendere con forza il significato della lotta dei palestinesi per l'affermazione dei propri diritti. Al Film Forum l'autore, Emad Burnat, ha presentato il film con il collega israeliano Guy Davidi, che l'ha coadiuvato nel montaggio e la promozione. Gli spettatori del Film Forum si sono commossi e hanno applaudito a lungo. Se questo film dovesse fare una clandestina apparizione anche dalla vostre parti, cercate di non perdervelo. È di gran lunga più efficace per capire la situazione nei Territori Occupati rispetto agli ideologismi propagandistici e i tatticismi che l'una e l'altra parte declamano dalle tribune dell'ONU, finendo troppo spesso per oscurare in una cortina fumogena di opportunismo la durezza del conflitto che i cittadini palestinesi vivono tutti i giorni sulla loro pelle.



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