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domenica 18 marzo 2012

Metti, una sera all'Opera...


Il Lincoln Center (al centro, la Metropolitan Opera). 
Negli anni 60, per fargli spazio, fu raso al suolo un intero quartiere, e 7000 famiglie, 
essenzialmente di immigrati, dovettero cercar casa altrove.   
L'Imbucato si è insinuato all'Opera, evento inedito per lui che durante i suoi primi 44 anni si era ben guardato dal farlo. L'Opera era "L'Elisir d'Amore" di Donizetti, e veniva rappresentata al Metropolitan Opera (Met) del Lincoln Center, una delle più prodigiose macchine di produzione di arti della scena al mondo. Sebbene anche il Met risenta della crisi economica e dell'inevitabile declino della lirica, ha un ruolino di marcia da fare invidia ai nostri estenuati enti lirici: 27 opere prodotte all'anno e rappresentate a rotazione durante la settimana grazie a dispositivi tecnici d'eccezione, una stagione che dura ininterrotta da settembre a maggio, una pioggia di donazioni private. La Metropolitan Opera è un piccolo capolavoro architettonico degli anni '60, che reinterpreta nello stile internazionale dell'epoca la magnificenza dei teatri operistici europei dell'800: grandi archi di travertino con vista sulla piazza, sontuose scalinate in cemento armato,  preziosi lampadari moderni a forma di costellazione stellare, grandi pannelli di Chagall a decorare il tutto.  


Certo per potervi accedere, e passeggiare suoi suoi velluti rossi tra i newyorchesi incravattati che sorbiscono champagne all'intervallo, vale il principio che bisogna sciropparsi l'Opera lirica prevista in cartellone. I biglietti erano gratuiti,  offerti da un amico a quanto pare scenografo di una nostra amica in carriera a cui la carriera sta attualmente minando la salute mentale. Quanto all'Opera, poteva toccarci in sorte di peggio. L'"Elisir" è relativamente breve, e poi allegra. La trama, che nel 1832 quando andò in scena per la prima volta dovette apparire insulsa già ai contemporanei, narra di Nemorino, povero e grullo ma capace di immenso amore per la bella Adina, il quale cerca di strappare quest'ultima alle grinfie di un ufficiale macho e pieno di sé l'attraverso l'uso di una sedicente pozione d'amore rifilatagli a caro prezzo da un ciarlatano ambulante. Va da sé che riuscirà nel suo intento, anche perché ci sorge il sospetto che Adina, che è sciocchina e ammiccante ma forse meno grulla di lui, abbia scoperto (come noi spettatori) che Nemorino ha ereditato una fortuna da un vecchio zio. I protagonisti se la cantano dall'inizio alla fine anche quando non sembra necessario (e i monitor coi sottotitoli in inglese sulle spalliere delle poltrone come in aereo confermano la scarsa profondità del loro pensiero), ma la star peruviana che interpreta Nemorino è abbastanza atletico e piacente e cerca anche di recitare. "Di cantare non è capace", sentenzia l'altra nostra accompagnatrice, una settantenne parigina a New York da trent'anni a cui non garba nulla e men che meno gli americani: al peruviano rimprovera di non strillare come sapeva fare Pavarotti. E il pensiero di Pavarotti sessantenne con la barba luciferina tinta col carboncino e i duecento chili di troppo che impersona il giovane innamorato ci fa venire un brivido lungo la schiena (se avete coraggio andatevelo a vedere qui). Misteri della lirica. A smentire la parigina, il Nostro Nemorino infila un'a quanto pare impeccabile "Quella furtiva lacrima" (malgrado parte della scenografia in un inatteso fuori programma abbia rischiato di abbattersi rovinosamente su di lui poco prima), e il pubblico del loggione (esiste davvero!) che lo aspettava al varco lo premia con un'ovazione a scena aperta. Il melodramma giocoso si chiude col trionfo dell'amore in un festoso sventolare di miriadi di tricolori che ci scaldano il cuore. 

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